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Ovviamente non crediamo ai miti pagani o di altra natura. Ma bisogna tenere in gran conto il significato profondo di alcuni miti. Okeanos è quanto mai significativo. I visitatori della Fontana di trevi a Roma conoscono il mito di Okeanos?

Antonio Pileggi
Presidente di Okeanos

venerdì, novembre 08, 2013

UNA MELA MARCIA AL GIORNO

Sottoposti a controlli e verifiche da un "controllore" di livello europeo, alcuni lavori eseguiti all'Aquila dopo il terremoto presentano vizi di vario genere: case a rischio di crollo in caso di nuove scosse sismiche, case costruite con materiali scadenti e insicuri, appalti costosissimi, puntuali subappalti, corrotti e corruttori che affollano i luoghi dove ci sia qualcosa da appaltare e dove ci sia l'uso del denaro destinato ai terremotati. Come spesso accade in questi casi, si parla di "infiltrazioni mafiose". Questi esiti e questo modo di descrivere la piccola e la grande criminalità che ruota intorno ad "appalti" e subappalti potrebbe lasciare intendere che siamo innanzi a qualche mela marcia.
Dopo questo ennesimo scandalo italiano dovremmo provare a fare almeno due considerazioni. La prima concerne il fatto che gli illeciti emergano a seguito di controlli effettuati da una Autorità europea. La vicenda dovrà essere approfondita, ma sorgono inquietanti interrogativi, a cominciare dagli interrogativi che riguardano la natura e il contenuto dei controlli che si praticano in Italia in materia edilizia, specialmente nei luoghi ad elevato rischio sismico. La seconda considerazione riguarda la cosiddetta "infiltrazione mafiosa". Sarebbe il caso di andare oltre alla solita definizione e alle solite "distinzioni" tra le forme delinquenziali. Infatti bisognerebbe, a fronte di vizi molto diffusi, cominciare a porre l'accento sul fatto che l'Italia ha ormai smarrito non solo il senso e il valore dell'etica pubblica, ma anche il comune senso dell'onestà. L'idea dell'infiltrazione è quella di un corpo sano in cui si sarebbero infiltrati corpi estranei. Ecco perché  parlare solo di "infiltrazione mafiosa" potrebbe essere "riduttivo" di un fenomeno grave e disseminato in tutto il territorio nazionale. Non siamo solo di fronte a qualcosa di misterioso, di potente e di estraneo che si "infiltra" tra la gente comune, tra la gente per bene. Dobbiamo prendere consapevolezza che ci sono troppi  "furbi" e cricche di furbi non infiltrati, ma costituenti un ampio strato sociale caratterizzato da un modo di pensare e di essere contiguo al mondo della piccola e della grande criminalità. Dappertutto, in campo politico, nel mondo imprenditoriale ed anche nelle relazioni umane circolano, impuniti, furbi e furbastri che approfittano di ogni occasione per lucrare in danno della gente per bene che viene considerata un insieme di fessi o di  polli da spennare. E si sceglie di stare "insieme" ad altri, in qualsiasi forma associativa, con uno scopo non sempre nobile. Infatti c'è una idea di rapina e di parassitismo che è entrata nel modo di pensare di troppa gente che vuole stare "insieme" al prossimo per depredarlo. Le parole mutualità e solidarietà sono scomparse dal vocabolario. La mutualità, che dovrebbe essere l'anima e lo scopo della cooperazione, non sembra molto presente nella legislazione che la regola se si considerano i troppi poteri riconosciuti agli amministratori delle piccole e delle grandi cooperative, cooperative edilizie comprese, di fronte allo scarso potere di controllo posto in capo al singolo associato. Certe esperienze cooperative, in forma molto consociativa, non hanno dato sempre prova di trasparenza, sotto l'aspetto gestionale e strutturale, e non sono state sempre un bell'esempio di effettivo sviluppo economico, sotto l'aspetto funzionale. Anche sul cosiddetto terzo settore italiano ci sarebbero molte considerazioni da fare. Pur senza semplificazioni, potrebbero essere salutari le concrete svolte rinvenibili nella sempre efficace ricetta liberale che offre rimedi concreti in direzione di una consistente riduzione della presenza del Pubblico nell'economia. Questa  significativa opzione di stampo liberale potrebbe servire a contenere al massimo le occasioni di ruberie e potrebbe rendere agevoli e veloci i complessi e molteplici interventi finalizzati ad estirpare la mala erba della corruzione e a rieducare un Paese, dove, la disonestà, anziché l'eccezione, è diventata la regola.
La parola solidarietà, che non riguarda una categoria dello spirito, ma un approccio concreto di vicinanza a chi ha bisogno, non si sente nemmeno pronunciare nel suo autentico significato. Non è azzardato dire che la parola solidarietà si sente pronunciare solo dal nuovo Papa Francesco che proprio oggi, col suo linguaggio chiaro, forte ed efficace, ha parlato del "pane sporco" proveniente dalle tangenti e dalla corruzione. In alcuni ambienti, e la politica non ne è estranea, la parola solidarietà è intesa come un vincolo di "appartenenza" ad una casta di privilegiati o di cricche di potere arroganti e senza scrupoli.
E mentre si restringe sempre più l'influenza positiva nella società dei tanti onesti imprenditori che investono e mettono a rischio  i loro capitali per fare impresa, cattivi esempi vengono dalla nutrita schiera di "prenditori" di appalti pubblici che sono diventati esperti nella teoria e nella pratica della corruzione. Viviamo in un mondo corrotto fino al midollo, un mondo dove il corruttore trova facilmente, e senza seri e severi controlli, chi è felice e contento di farsi corrompere.
Ricordiamolo sempre ai numerosi italiani con la memoria corta che la Convenzione di Strasburgo contro la corruzione è rimasta per oltre un decennio nei cassetti del Parlamento. Sta di fatto che solo con la legge n. 110 del 2012 il Legislatore italiano ha finalmente autorizzato la ratifica della convenzione penale sulla corruzione, fatta a Strasburgo nel lontano 1999.
Tutto ciò che accade in Italia suscita sconcerto. Imperversano i furbi e i furbastri ed essere onesti non è solo fuori moda, infatti in alcuni ambienti, ambienti politici compresi, essere onesti significa essere considerati fessi. Dovremmo prendere coscienza che i furbi e i furbastri sono le mele marce che diffondono e rendono agevole il contagio del marciume. Il vecchio adagio dice che una mela al giorno toglie il medico di torno. In Italia si può dire che una mela marcia al giorno sta togliendo l'onestà di torno.
Sarà lunga e difficile la cura per sconfiggere la malattia perniciosa che, da troppi anni, ha infettato l'Italia e le sue istituzioni. C'è bisogno di una vera rivoluzione culturale e di una autentica rivoluzione liberale per fare riemergere principi e valori affogati nella melma dell'ipocrisia e del malaffare. Si sente un bisogno di aria pulita e di pulizia radicale che elimini i germi dell'infezione. Molto dovrà fare la scuola per ridare fiducia e speranza alle giovani generazioni. La scuola, e la comunità scolastica, come luogo di formazione alla cittadinanza consapevole, ancorché in una dimensione europea, potrà svolgere il suo ruolo essenziale nella ricostruzione morale e civile del Paese. Una ricostruzione che deve passare necessariamente attraverso la riscoperta dei valori e dei principi che ci sono tutti nella nostra "giovane" e, purtroppo, inattuata  Costituzione.
Roma, 8 Novembre 2013

Antonio Pileggi

N.B. Questo articolo è stato pubblicato in data odierna sul quotidiano on line Rivoluzione Liberale

venerdì, novembre 01, 2013

LA SCUOLA ITALIANA: quale politica, quali priorità?

La scuola per costruire il futuro

La cultura, quando è ampiamente diffusa, alza il livello di conoscenza e di formazione del cittadino, alza il livello della società e disegna il futuro di un Paese.
La scuola non può che essere pensata come “investimento” produttivo di risorse umane che siano in grado di affrontare i molteplici e complessi temi della modernità. E’ nella scuola che si può dare l’avvio alla costituzione di quel “capitale umano” che può e deve svolgere un ruolo attivo nei vari campi in cui si articolano e si esplicano sia la convivenza (e la coesione) sociale che lo sviluppo considerati in senso etico, politico, scientifico, tecnologico, economico ed ambientale.
La politica dei tagli alle risorse destinate alla scuola, alla ricerca e alla cultura ha segnato una vera e propria inversione di tendenza rispetto al passato ed ha finito inevitabilmente con l’incidere sulla costruzione del futuro del nostro Paese. D’altra parte si constata, in ambito politico,  l’esistenza di una diffusa volontà diretta a “tagliare” i ponti col passato allo scopo evidente di far dimenticare idee ed esperienze culturali caratterizzanti il sistema scolastico italiano per come si è sviluppato dall’unità in poi. Peraltro, in presenza di tagli di risorse e di memoria storica, nell’ultimo quindicennio è stata praticata la politica degli annunci di riforme che sono state oggetto prima di approvazione e poi di modifiche a seconda delle maggioranze uscite vittoriose nelle diverse competizioni elettorali condotte all’insegna del bipolarismo all’italiana.
La scuola, fin dalla nascita dell’unità dell’Italia, è stata sempre protagonista di un graduale sviluppo ed è stata destinataria di interventi (sempre in aumento quanto a risorse economiche investite) che sono stati fondamentali per assicurare lo sviluppo del nostro Paese. Nel secolo scorso si è addirittura verificato il fenomeno della così detta “espansione scolastica” con significativi investimenti nel campo del “diritto alla studio” che hanno fatto registrare complessivamente risultati più che positivi se si considera che il nostro Paese è diventato uno dei più avanzati sia sul versante economico che sul piano culturale e sociale.
Le attuali forze politiche hanno un grado di attenzione ai problemi della scuola che risente della “polverizzazione” e della mancata "sedimentazione" delle varie scuole di pensiero (laiche, cattoliche e socialiste) presenti in tutti i Partiti del secondo dopoguerra.
È compito essenziale dei Partiti, quindi della politica, fare la sintesi fra i diversi “interessi” coinvolti nella comunità scolastica che è molto ricca e comprende molteplici soggetti (componente studentesca, genitori, docenti e personale scolastico non docente, enti locali, realtà economico-produttive presenti nel territorio, istituzioni culturali, organizzazioni sindacali di categoria, etc).


2) ALCUNE PRIORITÀ
Per sommi capi e nella tradizione del pensiero più autenticamente liberale, si possono indicare, sia pure non in modo esaustivo, almeno dieci priorità da tenere presente:
Studente da considerare come persona umana al centro degli interessi primari della Comunità scolastica e della Comunità sociale. Recupero e rinforzo dell'educazione civica attualmente scomparsa dalle materie scolastiche; 
Dialogo educativo docente-studente da valorizzare e supportare, ancorché in presenza dei nuovi codici di apprendimento che le innovazioni tecnologiche e la modernità delle politiche educative consentono di introdurre, al duplice scopo di alzare il livello della qualità del servizio scolastico e di riconoscere la fondamentale importanza della funzione docente;
Aggiornamento e approfondimenti continui di tutti coloro che sono coinvolti nei processi formativi;
Rapporto scuola-università finalizzato alla formazione iniziale e in servizio dei docenti, al potenziamento della ricerca educativa e dell’orientamento;
Trasparenza e partecipazione nelle strategie educative e formative della componente genitoriale e degli Enti locali;
Autonomia delle istituzioni scolastiche da riconoscere e attuare attraverso una seria cultura dei controlli, della valutazione e, soprattutto, attraverso l’affermazione dell’etica della responsabilità;
Riconsiderazione o abolizione del valore legale dei titoli di studio;
Istruzione permanente e ricorrente secondo i canoni e le esperienze che vengono indicate dall’Europa;
Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) come elementi essenziali dell’architettura formativa in tutto il territorio nazionale per come previsto dalla Costituzione;
Promozione del merito e del successo formativo, nonché diritto allo studio da potenziare sia per combattere adeguatamente il fenomeno della dispersione scolastica che per assicurare ai capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, di raggiungere i gradi più alti degli studi nel pieno rispetto del dettato costituzionale.
Roma, 1 Novembre 2013.
Antonio Pileggi



N.B. Questa nota riporta in sintesi un precedente articolo dello stesso autore

lunedì, maggio 20, 2013

Bruciare libri per la denutrizione culturale


Quando si ricorda il rogo dei libri del 10 Maggio 1933 a Berlino non bisogna perdere mai l'occasione di far comprendere alle giovani generazioni il perché e il percome un regime liberticida possa alimentare il disinteresse e, finanche, l'odio per i libri, cioè per la cultura.
La prima cosa da ricordare è il fatto che non fu il Governo di Hitler ad ordinare il grande rogo. Furono gli studenti che, infervorati dalla propaganda di Joseph Goebbels contro "la cultura decadente", si impegnarono con molto zelo a pianificare l'effettuazione dei grandi falò dei libri considerati pericolosi per la dittatura nazista.
Ciò dimostra che, attraverso la propaganda di un regime non democratico, si possono influenzare le masse per indurle a fare qualsiasi cosa.
Fra gli autori considerati nemici del regime nazista c'era anche Albert Einstein, che ci ha lasciato una testimonianza e un insegnamento da tenere sempre presente. Nel suo libro "Come io vedo il mondo" viene messo in luce che "i giornali di un Paese possono, in due settimane, portare la folla cieca e ignorante a un tale stato di esasperazione e di eccitazione da indurre gli uomini ad indossare l'abito militare per uccidere e farsi uccidere allo scopo di permettere ad ignoti affaristi di realizzare i loro ignobili piani."
In quel 10 maggio 1933, il ministro della propaganda nazista, Joseph Goebbels, mentre il grande rogo veniva alimentato da migliaia di libri ridotti in fumo, fece uno dei suoi innumerevoli discorsi contro la "cultura degenerata". E i roghi si moltiplicarono in moltissime città tedesche.
Per alimentare i cosiddetti Bücherverbrennungen (roghi di libri) gli studenti andavano a caccia, nelle biblioteche private e pubbliche, delle opere di pensatori, scienziati e artisti. Ecco alcuni nomi degli intellettuali messi al bando dal nazismo: Albert Einstein,  Sigmund Freud, Hannah Arendt, Thomas Mann, Bertolt Brecht, Max Weber, Karl Marx, Joseph Roth, Theodor W. Adorno, Walter Benjamin, Ludwig Wittgenstein, Herbert Marcuse, Edith Stein, Max Weber, Erich Fromm, l’architetto Walter Gropius, i registi Fritz Lang e Franz Murnau, i pittori Wassili Kandinsky, Paul Klee e Piet Mondrian.
Cosa sia successo dopo quei roghi lo sappiamo tutti. Ai roghi dei libri seguirono puntualmente i roghi della seconda guerra mondiale, che hanno fatto registrare il più alto numero di morti ammazzati della storia dell'uomo, e l'Olocausto che, anche nel suo significato etimologico, ὁλόκαυστος (olokaustos), esprime il concetto di "bruciato interamente".

Cosa andava accadendo in quel contesto storico nel nostro Paese? Siamo stati estranei, noi italiani, rispetto ai frutti velenosi che andavano maturando e che sono poi maturati in Germania? Altro che estranei. In Italia successe di tutto e di più. Infatti fu proprio il fascismo, con le sue idee e le sue azioni violente, che anticipò e ispirò l'avvento del nazismo e dei suoi metodi dittatoriali. I cattivi esempi li abbiamo cominciati a dare noi. Bisogna dirlo per evitare che la rimozione dei gravi delitti contro la libertà siano sepolti nell'oblio della "carità di patria". Nella infinita lotta tra cultura e censura, cioè tra libertà e barbarie, la libertà diventa una combattente estremamente debole se non può nutrirsi delle energie vitali fornite dalla memoria. E non ci devono essere indulgenze per chi volesse praticare il dimenticatoio consolatorio. La violenza fascista contro la cultura, ovvero contro il "culturame", come si usava dire, ci ha lasciato  tracce indelebili. Qualche esempio? Basta farne due. Piero Gobetti, fondatore e direttore di Rivoluzione Liberale, fu massacrato dai fascisti per le sue idee sinceramente democratiche e veramente liberali. Ci ha lasciato pagine indimenticabili che i giovani devono conoscere se vogliamo evitarci i ritorni di fiamma del fascismo liberticida e sempre in agguato sotto diverse forme, ma sempre in agguato.
Ad Antonio Gramsci, l'autore dei Quaderni del carcere (è l'autore italiano più tradotto e più studiato nel mondo) fu riservato un altro "trattamento speciale" dal tribunale speciale fascista: "Per vent'anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare". Sono le parole usate  dal pubblico ministero Michele Isgrò a conclusione della sua requisitoria fatta il il 4 giugno 1928, cioè cinque anni prima del rogo di Berlino. Non c'è bisogno di commentare le parole di Michele Isgrò, personaggio tipico di qualsiasi epoca, perché ci sono sempre "nel mercato" degli intellettuali pronti a fare la loro carriera personale svolgendo un ruolo ancillare dei regimi dittatoriali. Ma c'è bisogno di ricordarli  sempre, a futura memoria, con nome e cognome, tutti i Michele Isgrò della storia dell'umanità per significare che l'operato  di esecutori e mandanti dei delitti contro la libertà deve essere al centro di un culto, o meglio di una specifica etica della responsabilità. Le parole di  questo pubblico ministero danno il senso e la misura del prologo e dell'epilogo di tutto ciò che è accaduto, e che non poteva non accadere, per effetto del dilagare del fascismo e del nazismo.
Queste considerazioni concernenti i brevi cenni ad episodi significativi della nostra storia, che è storia recente se si tiene conto che sono passati solo ottanta anni dal 1933, dimostrano che la malnutrizione culturale nuoce gravemente alla salute della politica. E nuoce alla salute, cioè al libero esercizio, dei diritti e dei doveri di ogni cittadino. D'altra parte, la denutrizione culturale è sempre utile a qualsiasi regime, specialmente ai regimi autoritari che possono agevolmente manipolare le coscienze dei sudditi e inibire ogni possibilità di partecipazione attiva dei cittadini alla cosa pubblica. Infatti i cittadini  subiscono puntualmente un degrado e diventano sudditi quando vengono indotti a credere nella inutilità se non nella dannosità della cultura.
I libri sono i silos in cui sono custodite le idee che, come semi, possono germogliare  e attecchire nella coscienza e nell'intelligenza degli esseri umani. Dalle idee disseminate nei libri germoglia il senso critico e lo spirito di libertà, che è lo spirito creatore presente nell'intelligenza dell'umanità. Ecco perché  la cultura è sempre considerata pericolosa da parte dei tiranni e dai centri di potere dispotici. Ed ecco perché l'art. 33 della nostra Costituzione solennemente afferma: "L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento."
Nei nostri tempi, in cui assistiamo all'avvento dell'era digitale, la eliminazione dei libri e l'azzeramento della cultura si praticano con metodi meno cruenti, ma con altri sistemi che possono risultare molto devastanti per la democrazia. Ecco perché bisogna prestare molta attenzione agli effetti che producono sulle grandi masse l'uso  della televisione e del web.
Alle informazioni, che passivamente si ricevono in casa attraverso la televisione, si sono aggiunte forme di comunicazioni attive (interattive) realizzabili attraverso internet. L'uso del web può diffondere e velocizzare la conoscenza e può mettere in relazione individui e gruppi. Tutto ciò comporta l'ampliamento delle possibilità di accesso alla conoscenza. Ma il  passaggio dalla semplice conoscenza alla coscienza critica e alla maturazione culturale della persona umana difficilmente si realizza senza una istruzione di base effettivamente libera dalle strumentalizzazioni che alcune forme dispotiche del potere politico tendono a realizzare. Su due versanti, quelli della televisione e del web, si sono sviluppati nel nostro Paese tentazioni e posizioni egemoniche che sono oggetto di studio e di attenzione in tutto il mondo per la loro capacità di far presa sulle masse. All'estero sanno bene che la democrazia corre seri pericoli allorché non siano adottate regole che impediscano sia le concentrazioni monopolistiche degli strumenti di comunicazione del sapere e sia le concentrazioni nelle stesse mani del potere comunicativo e del potere politico.
L'Italia è, in modo ricorrente, un laboratorio politico di cattivi esempi. Dopo il crollo dei partiti presenti durante la prima Repubblica sono crollate le identità culturali delle appartenenze alle idee liberali, socialiste e cristiano-democratiche che, invece, sono presenti in Europa.
In Italia ci sono "investitori" di grandi quantità di denaro per scendere in politica come se una organizzazione politica fosse un'azienda commerciale e non una fucina di idee e di passione politica. La partitocrazia è al minimo storico quanto a credibilità. I partiti, al loro interno,  sono diventati o delle monarchie assolute o delle oligarchie alla ricerca di potere. Si "costruiscono" carriere politiche basate sulla visibilità nelle televisioni e sulla fedeltà al capo.
L'art. 49 della Costituzione, che richiede la democraticità dei partiti politici, è rimasto inattuato. La legge elettorale è di dubbia costituzionalità e rende visibile la frattura profonda tra eletti ed elettori. Chi siede in Parlamento manifesta la intenzione di voler sanare la crisi della credibilità della politica attraverso improbabili riforme costituzionali. La corruzione è molto diffusa in tutti gli ambienti politici, sociali ed economi. La stessa Convenzione di Strasburgo sulla lotta alla corruzione è rimasta per oltre dieci anni nei cassetti del Parlamento. E sono troppi i personaggi che trovano, o pensano di trovare, nell'attività politica, una fonte di guadagno o di sostentamento personale. Nati di recente, partiti e liste civiche muoiono facilmente e facilmente si ricompongono perdendo identità, perdendo memoria storica  e rimanendo  senza un retroterra culturale che dia motivazione e forza per reggere le sfide del terzo millennio e della globalizzazione.
Intanto c'è una disoccupazione dilagante accompagnata da una crisi economica senza precedenti e la stessa coesione sociale è in forte pericolo. La meritocrazia è stata accantonata nel mentre assistiamo, in tutti gli ambienti, ad una denutrizione culturale che ha dei parametri di riferimento molto significativi: beni culturali e beni ambientali, che sono il vero patrimonio del Belpaese, sono depredati o abbandonati all'incuria; scarsità di biblioteche pubbliche e costante chiusura delle librerie; scarsa diffusione di internet che lascia, nel contempo, ampi spazi ad un uso del web non sempre rivolto ad incrementare i processi cognitivi posti alla base della vera crescita culturale; scarso interesse dei decisori politici a favorire forme di educazione permanente e ricorrente; analfabetismo di ritorno e scarsa capacità, da parte di un'alta percentuale di cittadini italiani, di comprendere il significato di un testo scritto (ci sono, in proposito, dati allarmanti); aumento del tasso di abbandono scolastico; impedimenti all'esercizio del diritto costituzionalmente garantito ai capaci e meritevoli di raggiungere i gradi più alti degli studi; famigerati tagli al sistema di istruzione e il conseguente decadimento dell'impianto educativo italiano che si era sviluppato moltissimo e in modo significativo dalla caduta del fascismo fino alla fine del secolo scorso.
Che fare in Italia se non la rivoluzione culturale?

Roma, Maggio 2013

Antonio Pileggi


N.B. Questo articolo è stato anche pubblicato il 19 maggio 2013 sul quotidiano on line Rivoluzione Liberale. Ecco il link:

mercoledì, febbraio 13, 2013

THE POPE'S RESIGNATION. FROM POWER-PRIVILEDGE OF THE CHARISMATIC LEADER TO THE TRANSIENT POWER-SERVICE

The media will flood us with news, comments and speculations about the Pope's resignation announced today 'urbi et orbi'. Gradually thereafter, the topic of the election of the new Pope will take over the news and the discorse on television. At first, it is difficult to describe the nature, the content and reach of the historical action taken by Benedict XVI. The sensation for those of us who have had the priviledge of withnessing the II Vatican Council is the importance of this epocal transition of the Catholic Church. Actually, it is really premature judging Benedict XVI's action. We are living an historical cojuncture when the power of the Pope, traditionally considered life-long power-privilege, is transformed into a time-limited (transient) power-service. This is worthwhile for more in depth considerations. We clearly recall on the day of his election, Pope Benedict XVI defined himself "a simple and humble labourer in the vineyard of the Lord". Yesterday, his Twitt told us something humane, more humane: "@Pontifex: We must trust in the mighty power of God’s mercy. We are all sinners, but His grace transforms us and makes us new." Those who have lived already for over half a Century may be experiencing feelings as after the great novelty of the II Vatican Council called by Pope John XXIII. In less than a Century, the Catholic Church has endured two choices that have changed its presence and role in the millenary history we have known and we are knowing. The time-limited (transient) 'power-service' replaces the 'power-priviledge' entrusted to a charismatic Leader and represents the real change demanded in all areas where power of a man over men is exercised. In politics, this need is emerging and expanding. What has recently happened in the Countries overlooking the Mediterranean Sea has been too the breaking of the immutable power of dictatorships, dynasties and nepotism of charismatic leaders. It is premature to expand the considerations, but is emerging strongly and clearly that whatever position of power is temporary. Feb, 11, 2013 Antonio Pileggi

lunedì, febbraio 11, 2013

DIMISSIONI DEL PAPA: DAL POTERE-PRIVILEGIO DEL CAPO CARISMATICO AL POTERE-SERVIZIO DI DURATA LIMITATA La cronaca ci inonderà di notizie, commenti e congetture sulle dimissioni del Papa oggi annunciate urbi et orbi. Poi, pian piano, tutta la vicenda della elezione del nuovo Papa riempirà di notizie i giornali e le trasmissioni televisive. A caldo riesce difficile descrivere la natura, il contenuto e la portata del gesto storico compiuto da Benedetto XVI. La sensazione che stiamo vivendo, specialmente tutti quelli che abbiamo avuto il privilegio di assistere ad un altro avvenimento storico, il Concilio Vaticano Secondo, ci fa sentire l'importanza di questo passaggio epocale della Chiesa cattolica. È veramente prematuro dare giudizi sul gesto di Benedetto XVI. Stiamo vivendo un passaggio storico in cui il potere del Papa, considerato tradizionalmente un potere-privilegio a vita, si trasforma in un potere-servizio limitato nel tempo. Un passaggio epocale deciso da un intellettuale che è forse uno dei più preparati e autorevoli in campo filosofico e teologico. Sarebbe da approfondire questa considerazione. Ricordiamo tutti perfettamente quando, nel giorno della sua elezione, si autodefinì un operaio per coltivare la vigna del Signore. E ieri il suo ultimo twitter ci dice qualcosa di umano, di molto umano: "Dobbiamo avere fiducia nella potenza della misericordia di Dio. Noi siamo tutti peccatori, ma la Sua grazia ci trasforma e ci rende nuovi." Chi ha vissuto più di mezzo secolo non può non avere la stessa sensazione che si ebbe, di fronte alla grande novità del Concilio Vaticano Secondo convocato da Giovanni XXIII. In meno di un secolo, la Chiesa Cattolica ha compiuto due scelte che hanno cambiato la sua presenza e il suo ruolo nella millenaria storia che abbiamo conosciuto e stiamo conoscendo. Il potere-servizio limitato nella durata che sostituisce il potere-privilegio affidato ad un Capo carismatico, è il vero cambiamento esigito in tutti i campi in cui si esercita il potere dell'uomo sull'uomo. Nel campo politico questa esigenza sta emergendo e si sta diffondendo. Quello che è accaduto nei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo è stato anche una rottura con il potere immutabile legato alle dittature, alle dinastie e al nepotismo di capi carismatici. E' presto per allargare la riflessione, ma emerge in modo forte e chiaro che qualsiasi incarico di potere è temporaneo. Roma 11 Febbraio 2013 Antonio Pileggi