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Ovviamente non crediamo ai miti pagani o di altra natura. Ma bisogna tenere in gran conto il significato profondo di alcuni miti. Okeanos è quanto mai significativo. I visitatori della Fontana di trevi a Roma conoscono il mito di Okeanos?

Antonio Pileggi
Presidente di Okeanos

domenica, maggio 16, 2010

Una pubblica amministrazione "feudalizzata"

Reclutamenti di dirigenti senza procedure concorsuali e omesse o ritardate assunzioni di dirigenti previsti per Legge, dimostrano un uso delle risorse umane nelle pubbliche istituzioni non certamente ispirato al buon andamento e alla imparzialità dell’amministrazione. Quasi sempre questi comportamenti si accompagnano a: - innumerevoli forme di consulenze esterne o incarichi esterni; - improprie sostituzioni di funzioni dirigenziali; - pretestuose attese di “tempi opportuni” scelti ad libitum per colmare le carenze di organico. Alcune norme hanno aperto dei piccoli varchi che prevedono specifiche e limitate eccezioni al principio generale del reclutamento per concorso. Sono varchi che si tenta sempre di allargare al massimo, spesso con interpretazioni azzardate. Attraverso questi pertugi vengono reclutati pubblici dipendenti che, in molti casi, sono lontani dal senso dello Stato e vicini a chi li ha fatti oggetto della “donazione” di un ambito posto di lavoro. L’uso distorto di risorse umane e di risorse finanziarie non è solamente una forma di malcostume, ma fa parte di un processo di grave appropriazione delle pubbliche istituzioni con conseguente grave sconvolgimento delle fondamentali norme costituzionali che, all’art. 97, prescrivono testualmente: “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso…”. Questa forma di appropriazione è, di fatto, la “feudalizzazione” della Pubblica Amministrazione, una feudalizzazione che si potrebbe anche definire una speciale forma di spoil system all’italiana. Per descrivere il feudo, i feudatari, chi sta in testa e chi sta sotto al feudo, non sono stati spesi e non si spendono fiumi di inchiostro come, invece, è avvenuto nel caso dei “fannulloni” schiaffati in prima pagina. Infatti ha trovato molto ascolto la descrizione mediatica del così detto “fannullone” perché la gente percepisce ed è a conoscenza, in quanto spesso ne è vittima, delle inefficienze della Pubblica Amministrazione. Gli addetti a lavori sanno bene che il fenomeno del fannullone è quasi sempre conseguenza delle responsabilità, a cascata, delle azioni e delle omissioni che riguardano il governo della dirigenza pubblica. Questa responsabilità a cascata non è esclusa dai “principi di organizzazione” introdotti dalla legislazione relativa alla separazione tra compiti e responsabilità di indirizzo e programmazione e compiti e responsabilità di gestione. La separazione viene spesso interpretata come un metodo per scaricare sui dirigenti le responsabilità di gestione per scelte di chi li recluta e dà loro, o dovrebbe dare, le direttive. Poco si discute sulla feudalizzazione che è all’origine delle inefficienze e delle inadeguatezze strutturali e funzionali delle pubbliche istituzioni e che si manifesta sotto diverse forme, a cominciare dalle forme di reclutamento dei pubblici dipendenti. D’altronde, nulla si dice che spesso i dirigenti e i pubblici dipendenti, dotati di esperienza e di ineccepibile professionalità, spesso si trovano in serie difficoltà operative perché hanno a che fare con una produzione legislativa spesso caotica e contraddittoria, con assoluta mancanza di valutazione di impatto delle leggi, con funzioni di indirizzo carenti o inappropriate, con croniche carenze di organico. In definitiva, chi svolge con senso del dovere il proprio servizio all’interno della Pubblica Amministrazione spesso finisce per fare da parafulmine alle inefficienze di un sistema malato dalla “testa”. Un sistema in cui le responsabilità sono da considerare a cascata, dalla testa in giù. E’, quindi, sempre attuale il vecchio adagio secondo cui il pesce puzza dalla testa. Chi c’è in testa? In testa ci sono gli Organi che hanno la responsabilità di indirizzo e di programmazione nelle pubbliche istituzioni. Sono Organi che, approdati al loro posto di “comando”, dovrebbero curare con particolare attenzione come programmare e indirizzare le risorse umane e finanziare che hanno a disposizione e come garantire il reclutamento del personale con regolare procedura concorsuale che assicuri merito e professionalità, nell’interesse dei cittadini. Antonio Pileggi Questo post è il contenuto di un articolo sul quotidiano Europa il 18 agosto 2009

COSTITUZIONE: confronto delle idee di Brunetta e di Berlusconi con quelle di Amintore Fanfani

Brunetta e Berlusconi dovrebbero meditare a lungo su quanto affermato da Amintore Fanfani a proposito della Costituzione. Un Ministro della Repubblica italiana, che ha giurato di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione, ha ritenuto di esprimere, a proposito del primo e fondamentale art. 1 della Costituzione, il suo giudizio secondo cui "... stabilire che l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro non significa assolutamente nulla". Non trovo parole per rispondere a siffatto modo di giudicare e di commentare il testo scritto dai Padri costituenti. D’altronde, risulta sconcertante ascoltare il Presidente del Consiglio dei Ministri quando si lascia andare a ineffabili commenti sulla Costituzione italiana. Ecco perché sento il dovere civico di ricordare alcune frasi di Amintore Fanfani pronunciate nel corso dell’approfondito e alto dibattito dell’Assemblea costituente a proposito dell’art. 1. “Dicendo che la Repubblica è fondata sul lavoro, si esclude che essa possa essere fondata sul privilegio, sulla nobiltà ereditaria, sulla fatica altrui e si afferma invece che essa si fonda sul dovere, che è anche diritto ad un tempo per ogni uomo, di trovare nel suo sforzo libero la sua capacità di essere e di contribuire al bene della comunità nazionale. Quindi, niente pura esaltazione della fatica muscolare, come superficialmente si potrebbe immaginare, del puro sforzo fisico; ma affermazione del dovere d’ogni uomo di essere quello che ciascuno può, in proporzione dei talenti naturali, sicché la massima espansione di questa comunità popolare potrà essere raggiunta solo quando ogni uomo avrà realizzato nella pienezza del suo essere, il massimo contributo alla prosperità comune. L'ESPRESSIONE "FONDATA SUL LAVORO" SEGNA QUINDI L'IMPEGNO, IL TEMA DI TUTTA LA NOSTRA COSTITUZIONE..." Per chi volesse approfondire ulteriormente l’argomento, si può consultare la Gazzetta Ufficiale del 22 marzo 1947 che riporta l’intero dibattito. Il Gruppo di facebook "Cominciamo dall'art. 1 della Costituzione" ha pubblicato il link per renderne agevole la ricerca. Antonio Pileggi Gruppo di facebook Cominciamo dall'art. 1 della Costituzione

Accordi per cambiare la Costituzione? Rileggiamo la favola di Esopo: il leone, l'asino e la volpe

Apprendiamo di ipotesi di accordi in Parlamento per cambiare la Costituzione italiana. Senza entrare nel merito delle ipotesi di incerta natura e di incerti contenuti che si leggono ogni tanto su alcuni giornali, sembra opportuno tenere in gran conto l'intensità e la consistenza delle “forze” in campo che avessero il desiderio, all'interno del Parlamento, di modificare la Carta fondamentale della Repubblica italiana. Una riflessione a parte potrà essere fatta per le finalità che, attraverso le riforme, vogliano effettivamente perseguire le differenti formazioni partitiche. E' di solare evidenza che, anche per effetto di una ineffabile legge elettorale, nel Parlamento di questa legislatura c'è una schiacciante maggioranza delle forze al governo del Paese. Per esempio, alla Camera dei deputati la maggioranza governativa ha circa 100 deputati in più delle forze di opposizione. Questi rapporti di forza, estremamente “favorevoli” alla maggioranza governativa, non si sono mai verificati nella storia della Repubblica italiana. Di conseguenza, per le opposizioni c'è la necessità di concentrarsi e preparasi con molto impegno sia nelle attività interne al Parlamento e sia nell'eventuale successivo referendum alla stregua di quanto avvenne nel 2006 con la nota battaglia referendaria contro le riforme denominate della Baita di Lorenzago del Cadore. Mentre tutto ciò va accadendo, sembra opportuno rileggere le favole di Esopo. Una favola richiama l'attenzione sull'accordo concluso dal leone, dall'asino e dalla volpe che fecero società fra di loro e se ne andarono a caccia. Quando ebbero fatto un buon bottino, il leone invitò l'asino a dividere tra di loro. L'asino fece tre parti uguali e invitò il leone a scegliere. La belva inferocita gli balzò addosso, lo divorò e poi ordinò alla volpe di far lei le parti. Essa radunò tutto in un mucchio, lasciando fuori per sé solo qualche piccolezza, e poi lo invitò a scegliere. Il leone allora le chiese chi le avesse insegnato a fare le parti così. "E' stata la disgrazia dell'asino", rispose la volpe. Antonio Pileggi Il contenuto di questo post è anche su facebook

Etica pubblica: l'uso del potere e l'accesso ai palazzi dove il potere si esercita

ETICA PUBBLICA: due parole che significano tante cose e che andrebbero tenute in grandissima evidenza. Affrontiamo brevemente la questione dell’etica pubblica sotto due profili: quello dell’uso del potere e quello dell’accesso nei palazzi dove si esercita il potere. In un sistema democratico, chi si volesse candidare ad occupare un incarico che gli consenta di governare una comunità (comunale, provinciale, regionale, nazionale, o fosse anche un'assemblea condominiale o una società di persone in cooperativa) non dovrebbe mai conseguire privilegi per sé, per i suoi familiari o per i suoi sostenitori. L’uso del potere dovrebbe essere inteso ed esercitato unicamente come un servizio per il bene comune. Potere come servizio e non come privilegio è l’unica vera legittimazione del potere. Essere e non solo apparire al servizio del bene comune comporta un serio e fattivo lavoro per servire gli interessi generali dell’intera comunità, cioè gli interessi dell’intero corpo elettorale costituito da maggioranza e da minoranza. Solo così si ha senso dello Stato o senso della istituzione cui si è preposti a seguito di un’assunzione di responsabilità attraverso una procedura elettorale. Sarebbe cosa buona e giusta, in una Repubblica democratica, cioè in un regime non monarchico, l’introduzione di una legge che impedisca la ricandidatura al medesimo incarico per non più di due mandati al fine di evitare formazione di caste e per realizzare un reale avvicendamento nelle cariche pubbliche. Misure di autoregolamentazione all’interno dei partiti dovrebbero porre un argine alle caste ereditarie e al sistema di cooptazione col quale si distribuiscono premi alla fedeltà e alla cieca obbedienza e si consolidano potentati, notabilati e baronie. Nell’esercizio del potere pubblico, di fondamentale importanza è l’efficienza e l’efficacia del sistema dei controlli, da quello politico a quello amministrativo-contabile, da quello di legittimità a quello di merito. I controlli della Corte dei conti dovrebbero essere sempre più pregnanti e le responsabilità per danno erariale non dovrebbero beneficiare dell’istituto della prescrizione. Anche i reati contro la Pubblica Amministrazione non dovrebbero beneficiare della prescrizione. Con regole severe sui controlli e sulla prescrizione, non ci sarebbero tanti incompetenti (nei casi meno gravi) e tanti maneggioni (nei casi più gravi) sempre pronti a sgomitare per occupare cariche pubbliche. Scendendo dal livello politico, che in genere esercita (e dovrebbe solo esercitare) potere di indirizzo e di controllo, al livello della dirigenza amministrativa, che ha la responsabilità della gestione amministrativa, sorgono seri interrogativi sul come possa essere garantito il rigoroso rispetto del dettato costituzionale concernente il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione (art. 97 della Costituzione). Infatti, dopo l’introduzione dello spoil system all’italiana, è avvenuta e sta avvenendo una vera e propria “feudalizzazione” della pubblica amministrazione attraverso il reclutamento di dirigenti amministrativi senza procedure concorsuali. Spesso si fa ricorso a consulenze esterne che di fatto si sostituiscono ai compiti, ai doveri e alle responsabilità della dirigenza amministrativa. E, in alcuni casi, dirigenti amministrativi, all’atto dell’assunzione senza concorso, non hanno dovuto dare prova di conoscere il diritto costituzionale. Antonio Pileggi

Scuola: Quando la mensa diventa discriminazione

Nell’Italia del 2010, governata da uno degli uomini più ricchi del mondo, siamo al secondo caso di provvedimenti che penalizzano bambini figli di genitori che non hanno pagato la retta per il pasto a scuola. Nel primo caso è stato dato un panino in sostituzione del normale pasto fornito al resto della classe. Nel secondo caso è stato disposto, per i bambini figli di genitori “morosi”, il loro allontanamento dalla scuola per due ore: dalle ore 12,10 alle ore 14,10. Quello che sta accadendo in Italia è sconcertante. Questo nostro Paese, nel ventunesimo secolo, sta subendo un processo di annullamento di ogni progresso civile e culturale avvenuto nel corso del ventesimo secolo. Chi ha memoria storica di quanto avvenuto nella scuola pubblica italiana negli ultimi 60 anni resta senza parole innanzi a questi ineffabili episodi che avvengono in una sostanziale indifferenza generale. La scuola di un Paese è sempre lo specchio di una società. Ed è lo specchio di ciò che esiste al presente e di ciò che sarà il futuro della società. L’Italia, dal dopoguerra in poi, ha subito una evoluzione sempre più positiva in direzione dello sviluppo e del miglioramento della scuola che è stata via via aperta a grandi masse di giovani e alle metodologie didattiche sempre più attente alla preparazione dei cittadini del futuro. E le indagini internazionali hanno, da molto tempo, attestato che la scuola primaria italiana è ai primi posti nelle classifiche che periodicamente vengono effettuate per misurare il livello di apprendimento dei bambini. Non è il caso di ricordare la successione delle norme avvenute nel secolo scorso per mettere al riparo i bambini da qualsiasi forma di discriminazione sui banchi di scuola. Mi limito solo a sottolineare quanto stabilito nella Convenzione di New York del 1989 che, all’articolo 3, prescrive:“In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente”. Io credo che giornali e televisioni, specialmente le televisioni che tanta influenza hanno sull’opinione pubblica italiana, dovrebbero ricordare queste chiare e inequivocabili norme a tutte le Autorità che abbiano a che fare con bambini. E’ inqualificabile approntare giustificazioni del tipo meglio un panino che niente. Ho sentito anche un conduttore televisivo venire in aiuto di un politico messo in difficoltà nel suo tentativo di giustificare l’episodio del panino. Bisogna chiamare con nome e cognome questi episodi: il nome è “vergogna” e il cognome è “vergogna”. Se non si corre ai ripari energicamente nel tenere fuori i bambini da questa nuova forma di violenza, assisteremo ad un ulteriore degrado che compromette il presente e il futuro del nostro Paese. Non è progresso pretendere di sanare i bilanci delle amministrazioni locali attraverso interventi discriminatori a spese dei bambini. Altro che progresso, siamo ad una forma pericolosa di regresso camuffato da progresso. Quando frequentavo la scuola elementare, nel dopoguerra, non c’era il tempo pieno a scuola. E la mensa non era considerata un prolungamento delle attività didattiche. C’era la mensa, ma solo per sfamare i bambini poveri. La mensa era una forma di assistenza. Ebbi modo di apprendere dell’esistenza della mensa attraverso un fatto rimasto scolpito nella mia memoria. Infatti alcuni bambini della mia scuola avevano appeso al collo una specie di medaglietta di alluminio con un numero. Mi spiegarono che si trattava dei bambini poveri che venivano fatti uscire dalla classe prima del termine delle lezioni per andare a mangiare un pasto caldo. Portavano questa collana anche fuori dalla scuola. Alcuni ne erano fieri e contenti perché consentiva loro di uscire dall’aula prima della fine del normale orario scolastico. E i più fieri erano i ragazzi più grandicelli perché erano quasi sempre reduci di bocciature e, quindi, “ripetenti” e senza nessun interesse per lo studio. Ovviamente questa barbara forma di assistenza che imponeva il marchio di povertà fin dai banchi di scuola fu poi abolita. Fu giustificata come “emergenza povertà” da dopoguerra. Poi venne la mensa per tutti intesa come prosecuzione delle attività didattiche da realizzare con tutte le cautele e le metodologie opportune di carattere educativo e formativo. Volendo sintetizzare quanto sia accaduto e quanto stia accadendo si può concludere che siamo passati dalla mensa dei poveri della povera Italia del dopoguerra alla mensa intesa come metodologia didattica che include tutti i bambini per finire alla mensa dei ricchi, nuova e recente mensa “esclusiva”. Povera scuola! Povera Italia! Le Autorità che hanno recentemente costretto i bambini al panino o all’esclusione di due ore dalla scuola durante le “attività didattiche” costituite dalla partecipazione alla mensa, si sono trasformati in “docenti” che impartiscono una “bella” lezione. La pedagogia è affidata agli amministratori locali che vogliono sanare i bilanci a spese degli scolari. E’ la stessa pedagogia che imponeva al collo dei bambini quelle medaglie di povertà del dopoguerra. Siamo, nel 2010, ad un nuovo dopoguerra? Il dopo di quale guerra? Antonio Pileggi il contenuto di questo post è presente sul quotidiano Europa: