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Ovviamente non crediamo ai miti pagani o di altra natura. Ma bisogna tenere in gran conto il significato profondo di alcuni miti. Okeanos è quanto mai significativo. I visitatori della Fontana di trevi a Roma conoscono il mito di Okeanos?

Antonio Pileggi
Presidente di Okeanos

domenica, dicembre 11, 2011

Lifelong learning

Mentre l’Italia in crisi politica, economica e finanziaria si sta domandando come superare questa grave situazione, pochi si interrogano sul livello culturale degli italiani che hanno trovato, nell’invadenza televisiva finalizzata alla disinformazione sistematica, la fonte principale del sapere collettivo. Un sapere dove i “codici di apprendimento” principali, per giovani e meno giovani, sono strumentalmente “sfruttati” da ineffabili trasmissioni televisive delle quali è meglio non parlarne per non far loro ulteriore propaganda.
Tullio De Mauro, ex ministro della Pubblica istruzione e insigne linguista, intervenendo in un recente convegno svoltosi a Firenze, ha reso noto dati veramente allarmanti confermati da due recenti studi internazionali: il 33% di cittadini sa leggere, ma riesce a decifrare solo testi di primo livello in una scala da 1 a 5 (un ulteriore 33% si ferma a testi di secondo livello); il 71% è al di sotto del livello minimo di lettura e comprensione di un testo scritto in lingua italiana di media difficoltà; il 5% non è in grado di decifrare lettere e cifre; non più del 20% della popolazione conosce l’uso appropriato della lingua italiana ed ha le competenze minime necessarie per risolvere situazioni complesse e problemi della vita sociale quotidiana.
De Mauro e le indagini statistiche da molto tempo ci informano su questa drammatica situazione, ma è ormai di tutta evidenza un altro dato: i decisori politici italiani e i media da un bel po’ di anni sono in tutt’altre faccende affaccendati.
E mentre sono state messe in atto politiche caratterizzate da tagli alla scuola e alla cultura, l’Italia è rimasta indietro, molto indietro, rispetto agli obiettivi, tutti disattesi, che erano stati fissati nelle indicazioni europee in materia di educazione permanente e ricorrente e in materia di interventi seri per ridurre drasticamente la dispersione scolastica.
Uno degli ultimi tentativi per affrontare in termini legislativi, cioè con un organico disegno di legge in materia di apprendimento permanente, ci fu nel 2007. Ma a causa del termine anticipato della quindicesima legislatura il disegno di legge cadde nel dimenticatoio e, in seguito, sono stati praticati interventi in via amministrativa i cui risultati sono sotto i nostri occhi e sotto gli occhi vigili di De Mauro.
Per memoria vorrei ricordare che il disegno di legge del 2007, dopo aver ricevuto il parere della Conferenza Stato-Regioni, era stato predisposto in coerenza con gli indirizzi espressi in sede comunitaria e aveva previsto una strategia per il cosiddetto “apprendimento permanente” (lifelong learning) capace di far fronte alla diffusa inadeguatezza di istruzione nelle persone in età lavorativa. Col disegno di legge si indicavano obiettivi finalizzati ad incoraggiare e a favorire la partecipazione a occasioni di apprendimento continuo. In buona sostanza, l’intervento legislativo aveva la piena consapevolezza, confermata dalle ricorrenti rilevazioni statistiche, del rischio di un nuovo analfabetismo che, di fatto, ostacola fortemente l’accesso al lavoro di categorie deboli, alimenta l’esclusione sociale e impoverisce le potenzialità di sviluppo dell’intero Paese.
Per avere cognizione esatta dei ritardi, dell’insensibilità e della miopia dei decisori politici italiani, basta citare un documento europeo del novembre 2001, cioè di dieci anni fa, che è intitolato “Realizzare uno spazio europeo dell’apprendimento permanente” e che, guarda caso, fin dal titolo mette in evidenza un proverbio cinese del 645 avanti Cristo: “Quando fai piani per un anno, semina grano. Se fai piani per un decennio pianta alberi. Se fai piani per la vita, forma e educa le persone.”
Antonio Pileggi

© Rivoluzione Liberale
Articolo pubblicato il 2 dicembre 2011 su Rivoluzione-Liberale. Ecco il link:
http://www.rivoluzione-liberale.it/lifelong-learning/

lunedì, dicembre 05, 2011

Etica pubblica e pubblica funzione

I Docenti di tutte le scuole e, in particolare, i “Maestri” della scuola elementare, ora si chiama scuola primaria, lasciano sempre il segno nei processi di formazione del cittadino.
Anche in occasione dello svolgimento di un pubblico incarico al di fuori della comunità scolastica si può diventare “Maestro” impegnato in attività didattiche tali da lasciare una traccia indelebile sia nella formazione delle giovani generazioni e sia nella società.
Chi volesse proporsi a svolgere un incarico istituzionale nel pubblico interesse, e non per assecondare una propria ambizione o aspirazione personale, può trovare, in alcuni insegnamenti, delle indicazioni di alto valore etico, politico e sociale.
Senza scomodare le teorie facenti capo alle scienze pedagogiche e alle scienze politiche, ci sono due episodi che spiegano il significato e la portata dei “chiamati” nella dimensione dell’etica pubblica.
Il primo episodio si è verificato il 19 maggio 2006 quando il neo eletto Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, appena insediato, decise di ricevere al Quirinale i bambini di una scuola elementare come primo atto del suo settennato.
Nel corso dell’incontro si presentò l’occasione per rendere di solare evidenza e per spiegare in modo chiaro e netto cosa sia e come si possa diventare un “chiamato” per l’espletamento di un incarico istituzionale.
Quel giorno il Presidente Napolitano dialogò con i bambini in un clima festoso e gioviale. Un bambino gli chiese se avesse mai sognato da piccolo di fare il Presidente della Repubblica. “Addirittura, quando avevo la vostra età c’era la monarchia” – rispose Napolitano – “quindi non potevo sognare di fare il Re, tantomeno il Presidente della Repubblica”.
“In ogni caso – aggiunse – non si tratta di cose che qualcuno può sognare di poter fare. Può capitare di essere chiamati a questa responsabilità impegnativa e pesante. Si può sognare, invece, di diventare un bravo pittore, un grande musicista, un bravo professionista, ma non un Presidente della Repubblica. Non ci si può proporre di diventarlo: si è chiamati a farlo”.
A conclusione dell’incontro regalò ad ogni bambino una copia della Costituzione dicendo loro che in questo testo c’è scritto come è e come dovrebbe essere l’Italia.
Domande e risposte consentirono lo svolgimento di un dialogo educativo foriero di tantissimi significati e, sotto molteplici aspetti, quell’incontro è memorabile perché è una lezione di “etica pubblica” e di storia, è un esempio di didattica di grandissimo significato morale, civile e politico, è una dimostrazione di cosa dovrebbe fare un “Maestro” a scuola per la preparazione del cittadino, è una indicazione precisa sulle qualità e sulle aspirazioni personali di chiunque volesse pretendere di proporsi a svolgere un ruolo pubblico nell’interesse generale della comunità nazionale di un Paese.
Il secondo episodio è sotto i nostri occhi in questo novembre del 2011. Riguarda il Governo dei “chiamati” che è la caratteristica dell’Esecutivo affidato alla guida del sen. Mario Monti. Ovviamente non sono i “chiamati” nel significato evangelico, biblico, o religioso. ma nel significato più squisitamente laico e politico. Infatti è stato il Parlamento, espressione degli eletti dal Popolo sovrano, che ha attribuito, con la fiducia, l’investitura di natura politica al Governo. Sulla base di siffatti presupposti, parlare di Governo tecnico è del tutto fuori luogo.
In buona sostanza, si è concretizzata una eccezionale situazione in cui al Governo del Paese è stata preposta una squadra di Persone “chiamate” a svolgere un compito che solitamente è affidato a dirigenti selezionati nell’ambito della “carriera” politica. Una carriera, quest’ultima, che è caratterizzata dalla capacità dei singoli (e dei gruppi) di proporsi allo svolgimento di pubbliche funzioni.
Caratteristica dei chiamati non è il loro desiderio personale (e di gruppo) di occupare un alto incarico pubblico, bensì il desiderio (la volontà) di altri, dotati del potere di scelta, di stabilire requisiti oggettivi, e non aspirazioni personali, necessari per lo svolgimento di una pubblica funzione.
L’accesso ad una pubblica funzione diventa, attraverso la procedura di nomina del chiamato, un accesso sottoposto a valutazioni di convenienza e di opportunità che trascendono le aspirazioni personali del nominando, tecnico o politico che sia.
Antonio Pileggi

© Rivoluzione Liberale
Questo articolo è stato pubblicato da Rivoluzioneliberale.it il 28Novembre 2011. Ecco il link:
http://www.rivoluzione-liberale.it/etica-pubblica-e-pubblica-funzione/

domenica, novembre 20, 2011

Diritti dell'infanzia. In evidenza la Convenzione di New York del 20 novembre 1989


La Convenzione di New York del 20 novembre 1989 è lo strumento normativo internazionale più importante e completo in materia di promozione e tutela dei
diritti dell'infanzia. Comprende anche i diritti e le libertà attribuiti agli adulti
(diritti civili, politici, sociali, economici, culturali).
E' vincolante per gli Stati che la ratificano e offre un quadro di riferimento
normativo nel quale sono confluite tutte le indicazioni maturate in
cinquant'anni di sempre difficile difesa dei diritti dei bambini.
E' stata approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre
del 1989 a New York ed è entrata in vigore il 2 settembre 1990.
L'Italia ha ratificato la Convenzione il 27 maggio 1991 con la legge n. 176.
Obbliga gli Stati che l'hanno ratificata a uniformare le norme di diritto interno a
quelle della Convenzione e ad attuare tutti i provvedimenti necessari ad
assistere i genitori e le istituzioni nell'adempimento dei loro obblighi
nei confronti dei minori.
La Convenzione sollecita i Governi ad impegnarsi per rendere i diritti in essa
enunciati prioritari e per assicurarli nella misura massima consentita dalle
risorse disponibili.
*******
Alla Convenzione sui Diritti dell'Infanzia si accompagnano due Protocolli opzionali
che l'Italia ha ratificato il 9/5/2002 con legge n. 46.

sabato, novembre 19, 2011

Il Governo Monti e i Partiti

Il Governo presieduto dal sen. Mario Monti ha molte “particolarità” rispetto a tutti i Governi che lo hanno preceduto nella storia della Repubblica italiana. Sarebbe troppo lungo evidenziarle tutte anche perché molteplici e complessi sono gli aspetti che devono essere analizzati, dalle situazioni economiche, politiche e istituzionali, che hanno dato origine all’investitura di questo Esecutivo, agli aspetti strutturali e funzionali, che sono stati decisi col sostegno di una larghissima maggioranza del Parlamento. Una maggioranza che non può essere definita alla stregua delle passate denominazioni caratterizzate da tentativi, più o meno riusciti, di aggregazione, nell’esperienza governativa, di forze politiche diverse (solidarietà nazionale, pentapartito, compromesso storico, convergenze parallele e via dicendo).
Sta di fatto che in questi giorni si è realizzata una forma di “unità nazionale” decisa, sia pure con diversa intensità e con differenti (ma convergenti) motivazioni, da quasi tutte le formazioni politiche rappresentate in Parlamento.
Invero Monti, nella relazione programmatica con la quale chiede la fiducia delle Camere, parla di “impegno nazionale”. Si può desumere, al riguardo, che con tale definizione vuole anche coniare una motivazione compatibile con le molteplici e diverse identità delle diverse formazioni politiche che intendono riconoscersi nella maggioranza.
Pertanto, risulta appropriata la definizione “impegno nazionale” per qualificare sia la fase che ha presieduto il processo di formazione del Governo e sia quella che sarà la successiva azione politico-amministrativa del nuovo Esecutivo.
Sotto gli aspetti strutturali, quello che caratterizza questo Esecutivo, è l’elevata competenza tecnica e l’indiscutibile sobrietà dei singoli ministri “chiamati” a guidare i dicasteri nonché la provenienza degli stessi ministri, nessuno dei quali appartiene organicamente ai Partiti che hanno deciso di sostenere il Governo.
Sotto il profilo funzionale è stata concretamente messa in atto la netta distinzione tra ruolo e compito del Governo e ruolo del Parlamento e, inoltre, è stata realizzata, nei fatti, l’incompatibilità tra incarichi di partito e incarico nelle istituzioni.
In effetti è la prima volta che ciò accade in questi termini così peculiari fin dalla fase dell’investitura (cioè fin dalla “chiamata” al ruolo di Ministro e di Primo ministro). Ma attenzione a non dimenticare la buona e saggia prassi, vigente fino agli anni ’80 del secolo scorso, secondo cui chiunque fosse stato chiamato a svolgere un incarico governativo aveva l’obbligo, sancito nelle regole interne ai Partiti, di dimettersi immediatamente dagli incarichi di partito allo scopo di rendere visibile e concreta la incompatibilità tra il ruolo da svolgere nell’interesse generale del Paese e il ruolo, di parte, nel Partito di provenienza.
Si diceva, in una stagione molto lontana, che non si potesse stare contemporaneamente a Piazza del Gesù e a Palazzo Chigi. Questa saggia prassi fu abbandonata da capi partito allo scopo dichiarato di conquistare più potere decisionale e personale (lo chiamavano e lo chiamano decisionismo). E, in pratica, abbiamo visto tantissimi dirigenti di partito mantenere gli incarichi di partito e gli incarichi nelle istituzioni mettendo in atto così una vera e propria occupazione dei Palazzi del Potere da parte dei Partiti.
A ciò si è aggiunto il selvaggio spoil system all’italiana che consente la nomina di dirigenti non in base al merito e alla competenza; che mina alle radici il principio del buon andamento e della imparzialità della Pubblica Amministrazione; che costringe i pubblici funzionari ad un ruolo ancillare nei confronti di chi spesso ha manifestato essere dotato di scarsissimo senso dello Stato.
I Partiti che ora sostengono il Governo di “impegno nazionale” si sono fatti carico di rinunciare allo svolgimento di incarichi governativi accedendo, di fatto, alla incompatibilità tra incarico di partito e incarico governativo. E’ una situazione di fatto.
Certamente altro è rinunciare agli incarichi di partito dopo una nomina, altra è la situazione attuale del tutto eccezionale perché i Partiti hanno accettato di chiamarsi fuori nella costituzione della compagine governativa. E’ una situazione del tutto eccezionale determinata da diversi fattori. E’ una situazione eccezionale che ha messo un freno ai Partiti sebbene abbiano pieno titolo a selezionare e a formare la classe dirigente ai sensi dell’art. 49 della Costituzione (“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.)”
E’ appena il caso di precisare che i Partiti, pur non avendo loro rappresentanti nel Governo, hanno conservato intatti il loro ruolo e i loro poteri atteso che non è venuto meno in alcun modo il loro primato e il primato della politica esercitati attraverso gli intangibili poteri di indirizzo e di controllo della funzione legislativa esercitata dal Parlamento.
Roma 18.11.2011
Antonio Pileggi

ARTICOLO PUBBLICATO SU RIVOLUZIONE LIBERALE

Scuola e Partiti

Stiamo attraversando un periodo caratterizzato da una politica di tagli alle risorse economiche destinate alla scuola, alla ricerca e alla cultura. Sono tagli che segnano una vera e propria inversione di tendenza rispetto al passato e che finiscono inevitabilmente con l’incidere sulla costruzione del futuro del nostro Paese. D’altra parte si constata l’esistenza di una diffusa volontà, in ambito politico, diretta a “tagliare” i ponti col passato allo scopo evidente di far dimenticare idee ed esperienze culturali caratterizzanti il sistema scolastico italiano per come si è sviluppato dall’unità in poi. Peraltro, in presenza di tagli di risorse e di memoria storica, nell’ultimo quindicennio è stata praticata la politica degli annunci di riforme che sono state oggetto prima di approvazione e poi di modifiche a seconda delle maggioranze uscite vittoriose nelle diverse competizioni elettorali condotte all’insegna del bipolarismo all’italiana.
La scuola, fin dalla nascita dell’unità dell’Italia, è stata sempre protagonista di un graduale sviluppo ed è stata destinataria di interventi (sempre in aumento quanto a risorse economiche investite) che sono stati fondamentali per assicurare lo sviluppo del nostro Paese. Nel secolo scorso si è addirittura verificato il fenomeno della così detta “espansione scolastica” con significativi investimenti nel campo del “diritto alla studio” che hanno fatto registrare complessivamente risultati più che positivi se si considera che il nostro Paese è diventato uno dei più avanzati sia sul versante economico che sul piano culturale e sociale.
Guarda caso, le due anomalie del fascismo e del berlusconismo hanno coinciso con il fenomeno dell’impoverimento della scuola e della cultura. Un impoverimento che si sta accompagnando anche ad una grande crisi del sistema politico, economico e istituzionale dell’Italia.
Non è azzardato sostenere che la presenza di Partiti a grande tradizione culturale coincide e assicura la creazione di quei fermenti e di quei confronti fra diverse scuole di pensiero che sono indispensabili a promuovere la crescita della scuola e, di conseguenza, la crescita sociale, economica e politica di un Paese.
Gli attuali Partiti, nati quasi tutti di recente attraverso un processo di “scomposizione” di antiche formazioni politiche, hanno un grado di attenzione ai problemi della scuola che risente della “polverizzazione” delle varie scuole di pensiero (laiche, cattoliche, marxiste e socialiste) presenti in tutti i Partiti del secondo dopoguerra. Appare del tutto appropriato parlare di “polverizzazione” e non di “sedimentazione” delle pregresse esperienze culturali perché i cambiamenti intervenuti nelle organizzazioni politiche sono stati repentini e spesso sconvolgenti.
Sta di fatto che la nascita di nuovi partiti sotto diverse insegne e simboli, ha fatto perdere per strada il portato della cultura maturata attraverso il dialogo e il confronto fra le diverse scuole di pensiero presenti in Italia prima e dopo la nascita della Repubblica. Ciò accade anche perché il bipolarismo all’italiana della così detta seconda Repubblica e i sistemi elettorali, che hanno favorito la “personalizzazione” della politica e il metodo della cooptazione della classe dirigente, hanno dato il via libera all’identificazione del Partito con il leadear del momento. Non è un caso che l’Italia fa registrare il singolare fenomeno dei partiti personali che addirittura prendono il nome e cognome dal capo del partito che ne diventa il padrone. Il più giovane partito è quello che starebbe per nascere sotto un nome irripetibile ad opera di chi di partiti, nell’ultimo ventennio, ne ha fondati due, Forza Italia e PDL, ricorrendo anche all’improvvisazione che ha visto fondare la formazione politica più comunemente conosciuta come “partito del predellino”.
Il più antico dei grossi Partiti presenti nel Parlamento italiano, la Lega, ha rivendicato, fin dalla sua nascita, la distruzione del sistema scolastico italiano con le sue “energiche” richieste di abolizione dei Provveditorati agli Studi, istituiti fin dalla Legge Casati del 1859, e con le altre iniziative caratterizzate da una distorta e fuorviante concezione dell’autonomia delle scuole, iniziative delle quali l’esperienza della Scuola di Adro ne è il simbolo più vistoso.
Ad onor del vero, nei Sindacati e in alcune associazioni permane la memoria storica delle politiche educative e dei processi di cambiamento intervenuti nella scuola. Ma il punto di osservazione sindacale resta ancorato agli aspetti necessariamente corporativi e, quindi, riguarda una delle parti coinvolte all’interno della Comunità scolastica che è invece molto ricca e variegata e comprende molteplici interessi e molteplici soggetti (componente studentesca, genitori, docenti, personale scolastico non docente, enti locali, realtà economico-produttive presenti nel territorio, etc).
E’ stato sempre ed è compito essenziale dei Partiti fare la sintesi fra i diversi “interessi” coinvolti nella comunità scolastica. Ma molti Partiti che affrontano i temi della scuola sono troppo “giovani”. E qualche volta i giovani incorrono negli errori tipici di chi scalcia per farsi largo e di chi fa il deserto per emergere e distinguersi alla stregua dei costruttori di soffitte che pretendono di essere indifferenti al numero dei piani dell’edificio sottostante alla soffitta da costruire.
Nella cultura (e nell’edificio) dei Liberali italiani, è sempre vivo il ricordo del pensiero e dell’opera dei tanti Ministri “chiamati” a dirigere il Dicastero del Palazzo della Minerva. Sarebbe lungo l’elenco da citare (e non c’è solamente Benedetto Croce), ecco perché è bene ricordare l’ultimo liberale, Salvatore Valitutti, che assolse il compito di Ministro della Pubblica Istruzione nella prima Repubblica e dopo che si era alzato il vento degli eventi del ’68.
Avere un vivo ricordo del pensiero e delle opere di Valitutti è molto importante non solo per la scuola, ma anche per il vasto mondo della politica.
Valitutti è stato un Uomo dotato di un grandissimo spessore culturale e, prima di essere “chiamato” a svolgere il compito di Ministro al Palazzo della Minerva di Viale Trastevere, aveva maturato una ricca esperienza in materia scolastica tanto è vero che era stato anche un “burocrate” della scuola. Da Provveditore agli Studi, da docente universitario e col suo impegno politico e culturale aveva ed ha dimostrato in vario modo quanto fossero importanti le idee dei liberali nella società italiana.
L’attualità e l’importanza del suo pensiero emerge con chiarezza e in modo significativo quando rileggiamo i suoi scritti:
“… Noi oggi sentiamo il bisogno di restituire la scuola a se stessa e perciò di restituirla alla cultura, all’autonoma e viva cultura. La nostra Costituzione nell’art. 33 dice solennemente: l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. Per restituire la scuola a se stessa dobbiamo, per l’appunto, farne la sede del magistero dell’arte e della scienza, indispensabili per la formazione dei giovani ad uomini veramente liberi, cioè capaci di vivere e di operare nel mondo della libertà che è il mondo dello spirito creatore.” … “Abbiamo bisogno della filosofia, della storia, della matematica, della fisica, della chimica e delle altre forme della cultura artistica. Forse dobbiamo rinunciare a questo ricco e nutriente patrimonio per nutrirci solo del cinematografo della radiotelevisione e del giornalismo? Certamente no!”.
La scuola per costruire il futuro - La cultura, quando è ampiamente diffusa, alza il livello di conoscenza e di formazione del cittadino, alza il livello della società e disegna il futuro di un Paese. La scuola non può che essere pensata come “investimento” produttivo di risorse umane che siano in grado di affrontare i molteplici e complessi temi della modernità. E’ nella scuola che si può dare l’avvio alla costituzione di quel “capitale umano” che può e deve svolgere un ruolo attivo nei vari campi in cui si articolano e si esplicano sia la convivenza (e la coesione) sociale che lo sviluppo considerati in senso etico, politico, scientifico, tecnologico, economico ed ambientale.
Per sommi capi e nella tradizione del pensiero più autenticamente liberale, si possono indicare, sia pure non in modo esaustivo, almeno dieci priorità da tenere presente:
Studente da considerare come persona umana al centro degli interessi primari della Comunità scolastica e della Comunità sociale;
Dialogo educativo docente-studente da valorizzare e supportare, ancorché in presenza dei nuovi codici di apprendimento che le innovazioni tecnologiche e la modernità delle politiche educative consentono di introdurre, al duplice scopo di alzare il livello della qualità del servizio scolastico e di riconoscere la fondamentale importanza della funzione docente (la riconsiderazione della funzione docente dovrebbe avere idonei rinascimenti anche dal punto di vista retributivo);
Aggiornamento e approfondimenti continui di tutti coloro che sono coinvolti nei processi formativi;
Rapporto scuola-università finalizzato alla formazione iniziale e in servizio dei docenti, al potenziamento della ricerca educativa e dell’orientamento;
Trasparenza e partecipazione nelle strategie educative e formative della componente genitoriale e degli Enti locali;
Autonomia delle istituzioni scolastiche da riconoscere e attuare attraverso una seria cultura dei controlli, della valutazione e, soprattutto, attraverso l’affermazione dell’etica della responsabilità;
Riconsiderazione o abolizione del valore legale dei titoli di studio;
Istruzione permanente e ricorrente secondo i canoni e le esperienze che vengono indicate dall’Europa;
Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) come elementi essenziali dell’architettura formativa in tutto il territorio nazionale per come previsto dalla Costituzione;
Promozione del merito e del successo formativo, nonché diritto allo studio da potenziare sia per combattere adeguatamente il fenomeno della dispersione scolastica che per assicurare ai capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, di raggiungere i gradi più alti degli studi nel pieno rispetto del dettato costituzionale.
Roma 11 Novembre 2011
Antonio Pileggi

ARTICOLO PUBBLICATO SU RIVOLUZIONE LIBERALE
ECCO DUE COMMENTI
1. Luciano Corradini scrive:
12 novembre 2011 alle 09:54
Ricordo anch’io Valitutti come amabile persona di cultura e scuola. In persone come lui il liberalismo non è stato più identificabile con la cultura aristocratica, illuministica e relativistica, ma come componente indispensabile del patto costituzionale, Cari saluti.

2. Raimondo Bolletta scrive:
14 novembre 2011 alle 12:10
La tesi di Pileggi è certamente interessante: il sedimentato culturale dei nuovi partiti della seconda Repubblica è così esiguo e povero che questi non riescono ad ispirare positivamente la crescita della scuola italiana. Cita, come fosse un fenomeno carsico, la concezione liberale del sistema educativo che variamente è emersa nel dibattito sulla scuola e la riprende evocandone la ricchezza e la disponibilità in un momento di passaggio certamente grave e difficile. Penso però che il vero problema del rapporto tra partiti e scuola sia legato al fatto che il sistema dell’alternanza bipolare, diventato in realtà un regime mediatico populista di una società decadente impaurita dal futuro incerto, presupporrebbe che la scuola fosse trattata come la Costituzione, un affare da trattare con un’ottica bypartisan per cui il ministro successivo (anche della stessa parte) non smonti quello che ha fatto il precedente. Questo, a mio avviso, ha avvilito gli interventi riformatori della scuola facendone prevalere gli aspetti superficiali e contingenti rispetto a quelli di lunga prospettiva e di identità culturale. Il momento economico è grave ma proprio il commissariamento MONTI potrebbe consentire ai partiti, presenti in Parlamento, un approccio più unitario ai problemi della scuola legato a una prospettiva condivisa a fondamento di una identità nazionale culturalmente forte.

venerdì, novembre 11, 2011

Mario Monti senatore a vita

Testimonianza. Durante i sette anni in cui ho frequentato, per ragioni di lavoro, gli ambienti Ue di Bruxelles, Mario Monti era citato e indicato come stimatissima Persona tenuta in grande considerazione da parte di alti esponenti dell’establishment europeo.
Antonio Pileggi

venerdì, ottobre 21, 2011

L'utopia del quinto comandamento

Innanzi al rosso sangue sui volti e sul corpo dei morti e dei feriti nel corso di guerre e di scontri fra esseri umani, ancorché fosse il turno di dittatori assassini assassinati, la mente di ogni uomo non può fuggire dagli interrogativi sulla natura umana e sul grado di civiltà raggiunto degli umani sparsi alle varie latitudini del Pianeta Terra. Innanzi alla violenza e agli effetti della violenza c’è sempre difficoltà a trovare le parole giuste. C’è, negli ambienti laici e religiosi, il rito delle dichiarazioni più o meno consolatorie al termine, sempre provvisorio, delle tragedie delle guerre. Persone particolarmente sensibili hanno recentemente parlato di "nostalgia dello Stato di diritto … in tutti gli Stati”. Certamente lo Stato di diritto ha gli elementi essenziali per tentare di risolvere i conflitti e le controversie di vario genere. Ma la “breve” storia dell’umanità, nonostante le varie proclamazione dei diritti e nonostante le scuole di pensiero sullo Stato di diritto è affollata, in modo ricorrente, da guerre e da dittatori assetati di potere e di sangue poi finiti tragicamente nel loro stesso sangue. Se dovessimo dare un colore ad ogni epoca del genere umano, dovremmo dire che, fin dall’età della pietra, siamo ancora in piena epoca del “rosso”, cioè in una epoca segnata dal colore del sangue che viene continuamente “versato” nelle infinite guerre fra gli esseri umani. In molte bandiere il rosso è il rosso del sangue “versato” per qualche causa in una delle costanti guerre fra gli umani. In questa nostra epoca del “rosso sangue” non è compito facile tentare di spiegare, con parole appropriate, il senso e la portata del "diritto" e dello Stato di diritto, sotto il duplice profilo della filosofia del diritto e della storia della filosofia del diritto. Ogni tentativo di ragionare sulle teorie del diritto, quando accadono fatti tragici, inevitabilmente fa correre il pensiero sui comportamenti del genere umano il quale, pur avendo realizzato un sorprendente progresso tecnologico, dall'età del bronzo all'età dell'iPhone, dell’iPad, dei satelliti orbitali e dei voli nello spazio, è rimasto fermo all'età del bronzo allorquando usa i prodotti della tecnologia, siano essi le asce e le lance di bronzo oppure i satelliti o le armi più sofisticate, per alimentare i massacri (li chiamano guerre) all'interno della comunità umana. Siamo all'età del bronzo, ovvero all'età della pietra, nelle lotte dell'uomo contro l'uomo. Nulla è cambiato. Non c’è stata evoluzione, nel profondo della coscienza del genere umano quando è in gioco il mondo delle relazioni fra uomini e fra gruppi di uomini. L’evoluzione c’è stata, ma solo in direzione dell’affinamento dei mezzi di distruzione e di annientamento dell’altro. Nell’evoluzione dell’aggressività si sono moltiplicati gli strumenti di offesa messi a disposizione dall’evoluzione tecnologica. L’uomo mira a conquistare e poi a conservare, sempre con comportamenti primitivi e bestiali, il conseguimento di privilegi nell'esercizio del potere dell'uomo sull'uomo. Siamo ancora lontanissimi da una nuova epoca in cui siano superate le guerre e la violenza dell’uomo sull’uomo. Quel poco che si intravede all’orizzonte resta allo stadio delle utopie mentre restiamo lontanissimi da una nuova epoca che possa essere connotata da un nuovo colore diverso dal rosso sangue; siamo lontanissimi da una nuova era in cui non ci sia più spazio e storia per i dittatori e per gli aspiranti dittatori di turno. Si può “immaginare” (imagine?) una nuova epoca in cui il potere dell'uomo sull'uomo possa esercitarsi non come conseguimento di privilegi, ma come un “compito” da svolgere solo ed esclusivamente alla stregua di "servizio" per il bene comune? Quale sarà il prossimo colore? Roma 21 ottobre 2011 Okeanos

lunedì, giugno 27, 2011

La via referendaria al Mattarellum

E' stato pubblicato (oltre che sulla bacheca Facebook di Enzo Palumbo e su Rivoluzioneliberale.it) lo studio di Palumbo e Saponaro che hanno approfondito l'esame dell'istituto del referendum come strumento principe di “democrazia diretta” da mettere in campo per realizzare la cancellazione della legge elettorale italiana definita “porcata” finanche da chi la ideò e la fece approvare. E' molto difficile che il Parlamento provveda spontaneamente a modificarla anche perché è il medesimo Parlamento generato da siffatto sistema elettorale. E' di solare evidenza che l'Assemblea legislativa attuale è dominata prevalentemente da chi ha esercitato, a piacimento, il potere di nomina dei parlamentari. Ecco perché si evidenzia la necessità di una “svolta” ovvero di una “forte pressione” referendaria. C'è un significativo precedente che tutti tentano di far dimenticare. Cioè il “singolare” incarico, che Napolitano diede al Presidente del Senato Franco Marini dopo la caduta dell'ultimo Governo Prodi, per formare un Governo con il compito, specificato nella “formulazione” dell'incarico stesso, di cambiare la legge elettorale. E' stata la prima ed unica volta nella storia della nostra Repubblica che si sia verificato un siffatto incarico con natura e contenuto predeterminati. L'incarico era scaturito dalla necessità di cambiare l'impresentabile “porcellum” che tutti dicevano di non volere, ma solo a parole. Infatti il tentativo del Capo dello Stato fu fatto fallire perché tutti, destra e sinistra, volevano andare al voto-subito con la vigente legge elettorale per poter esercitare ad libitum il potere di nomina dei parlamentari. Roma 26 Giugno 2011 Antonio Pileggi ECCO I LINK: sul web: http://www.okeanos.org/LA%20VIA%20REFERENDARIA%20AL%20MATTARELLUM.pdf Sul web magazine rivoluzioneliberate.it: http://www.rivoluzione-liberale.it/la-via-referendaria-al-%E2%80%9Cmattarellum%E2%80%9D-i-parte/ su Facebook: https://www.facebook.com/enzo.palumbo su twitter: http://twitter.com/#!/Pileggiroma

Ieri si parlava di respingimenti oggi è la giornata mondiale dei rifugiati

Roma 20 Giugno 2011. Ieri un Ministro della Repubblica italiana, in un comizio rivolto alla sua parte politica, si è attribuito il merito di aver dato inizio ai "respingimenti". E' appena il caso di ricordare che quest'anno l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha dedicato la Giornata Mondiale del Rifugiato al 60° anniversario della Convenzione di Ginevra del 1951 concernente lo Status dei rifugiati, cioè il primo accordo internazionale che impegna gli Stati a concedere protezione a chi fugge dalle persecuzioni per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche. Ed in questa occasione a Lampedusa è arrivata Angelina Jolie nella veste di ambasciatrice ONU per i rifugiati. Ha dichiarato, tra l'altro, "c'è bisogno di più tolleranza". Sono eventi che non hanno bisogno di commenti. Roma 20 giugno 2011 Antonio Pileggi NOTA pubblicata su Facebook da Antonio Pileggi il giorno lunedì 20 giugno 2011 alle ore 22.52. Ecco il link della nota che su Fb contiene anche dei commenti: https://www.facebook.com/note.php?note_id=10150230940034337

I MINISTERI NELLA RIFFA DEL BALLOTTAGGIO DI MAGGIO

A seguito dell’unificazione della Germania, per effetto della caduta del Muro, il trasferimento dei Ministeri da Bonn a Berlino fu programmato meticolosamente in un arco temporale di dieci anni per garantire ai cittadini tedeschi una amministrazione della cosa pubblica idonea a risolvere ogni aspetto funzionale e strutturale di livello nazionale. Questa scelta fu operata dando priorità alla continuità e alla efficienza amministrativa, senza trascurare i problemi di carattere organizzativo correlati al trasferimento di strutture e di personale da una località ad un’altra. Cosa sta accadendo in Italia in questi giorni? Il capo della Lega Nord ha promesso agli elettori interessati al ballottaggio che in questo mese di maggio si deve svolgere nella città di Milano, il trasferimento di almeno 2 Ministeri da Roma a Milano. Il medesimo, che è anche Ministro della Repubblica, ha reso noto di essere certo del trasferimento dei Ministeri, perché gli è stato promesso dal Capo del Pdl, che è anche Capo del Governo e della maggioranza parlamentare denominabile “coalizione Bossi-Berlusconi- Scilipoti”. Un importante esponente del partito di maggioranza (presidente della Regione Lombardia) ha osato dimostrare scetticismo innanzi all’ipotizzato trasferimento di ministeri, ma è stato subito gratificato dal Capo della lega Nord con una “pernacchia” fatta a telecamere accese. Chiedo scusa per questo mio lessico poco ministeriale, ma nel caso di esponenti del partito della lega Nord, si assiste frequentemente ad una singolare “capacità” comunicativa da parte di personaggi di alto profilo istituzionale, che esprimono il loro pensiero politico-istituzionale secondo una sconcertante (ma finora vincente e corteggiata) “scuola di pensiero”. Il Presidente della Regione Piemonte, anch’egli un leghista, a sua volta, ha rivendicato un Ministero per la città di Torino. E sembra che i leghisti rivendichino un Ministero anche per la città di Firenze. A Sud, il candidato a Sindaco di Napoli appartenente al Pdl, nel ballottaggio di maggio, ha dichiarato di essere interessato anche lui a un Ministero nella sua città. Il sindaco di Roma e la Presidente della Regione Lazio, entrambi di stampo Pdl, hanno protestato per questo ipotizzato trasferimento e si sono rivolti al Capo del Governo. Addirittura il sindaco di Roma ha dichiarato che Roma è pronta a scendere in Piazza per difendere la permanenza dei Ministeri nella capitale, e sembra che anche il Consiglio comunale di Roma si sia espresso o si debba esprimere al riguardo. Io non so dare a me medesimo una risposta sul perché un argomento del genere sia di competenza del Consiglio comunale di Roma (o dei consigli comunali di Milano, Firenze, Torino o Napoli), ma tutto quello che accade nella Penisola è un indicatore dell’altissima “competenza istituzionale” della classe politica italiana. Quanto alle “alte competenze istituzionali”, il Capo del Governo è intervenuto per dichiarare che non di trasferimento di ministeri si tratterebbe, ma di trasferimento di “Dipartimenti”. Ecco cosa riferisce il Corriere della Sera del 23 maggio 2011 in base alle dichiarazioni, virgolettate, del capo del governo: “A Milano arriveranno probabilmente dei dipartimenti. In città ci sono già dei dipartimenti delle opere pubbliche e del provveditorato scolastico”. Non occorre spiegare in modo appropriato cosa sia, come sia strutturato e a cosa debba servire un ministero, un dipartimento o un “provveditorato scolastico”. Ma qualche precisazione occorre farla perché a parlare in questa riffa da ballottaggio non sono cittadini normali, ma esponenti di alto profilo istituzionale. Le precisazioni sono necessarie anche per offrire qualche motivo di riflessione in questa nostra Italia dove vige il principio “quod principi placuit, legis habet vigorem”, e dove si verifica un continuo disfacimento del senso dello Stato. Per non farla lunga, mi limito a fare qualche accenno al “provveditorato scolastico” di cui ha parlato il Presidente del Consiglio. Il “provveditorato scolastico” non c’è più nel sistema scolastico italiano perché, sebbene esistente fin dalla Legge Casati del 1859, è stato inopinatamente soppresso da una maggioranza di centrosinistra nell’anno 2000 sotto la spinta della Lega che in quel tempo ne chiedeva con forza la soppressione. Giusto per dare l’idea della natura e della portata delle richieste della Lega e della grande indulgenza nei suoi confronti (che ha generato la criticabile riforma del Titolo V della Costituzione), è appena il caso di ricordare che in quel periodo la Lega chiedeva anche la soppressione delle Prefetture, ma poi non vi ha insistito avendo ottenuto di collocare un suo esponente a Capo del Viminale, dal quale dipendono tutti i Prefetti d’Italia. Torniamo alla scuola. Al posto del soppresso “provveditorato scolastico”, di livello provinciale, furono istituite, sempre nel 2000 e come articolazione del Ministero dell’Istruzione, le direzioni generali regionali in tutte le regioni d’Italia. Attualmente in Lombardia c’è una delle venti direzioni generali di livello regionale e niente di più. Di Dipartimenti, nel sistema scolastico, ce ne sono solamente tre allocati a Roma e sono per l’esattezza: il Dipartimento per l’istruzione, il Dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali e, infine, il Dipartimento per l’università, l’alta formazione artistica, musicale e coreutica e per la ricerca. Quindi il Capo del Governo, quando parla di “provveditorato scolastico”, si riferisce a qualcosa di inesistente. Il Ministro della Funzione Pubblica, che occupa Palazzo Vidoni a Roma, nulla dice su questo scenario, che oserei definire una “sceneggiata” di grande rilievo, perché riguarda i gravi problemi strutturali e funzionali dei Palazzi del Potere, oggetto di appropriazione e di spartizione come se fossero feudi. Infatti la ipotizzata disseminazione dei Ministeri a livello territoriale non è rivolta ad assicurare una Pubblica Amministrazione ispirata ai principi dell’efficienza della efficacia dell’Azione amministrativa, ma risponde in modo del tutto evidente ad una logica di appropriazione e di spartizione delle istituzioni. Si appalesa una sconcertante logica “coerente” con lo spoil system all’italiana, che riguarda l’accesso, o meglio l’occupazione delle istituzioni da parte di dirigenti scelti non per merito e non per fedeltà alle istituzioni, ma per appartenenza e per fedeltà ai Partiti. I pubblici dirigenti sono stati ridotti ad un ruolo ancillare e servile in barba ai principi e ai valori disegnati nella Costituzione. In proposito basterà ricordare l’art. 97, dove è prescritta la necessità che “siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”, e l’art. 98, dove è stabilito che “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”, che sembrano divenuti reperti archeologici. Roma 28 Maggio 2011 Antonio Pileggi N.B. Questo articolo è stato pubblicato su Rivoluzioneliberale.it dove sono presenti alcuni significativi commenti e l'indicazione della quantità di persone che abbiano inteso esporre il “mi piace”. Ecco il link: http://www.rivoluzione-liberale.it/i-ministeri-nella-riffa-del-ballottaggio-dimaggio/ lo stesso aticolo è stato pubblicato fra le note dell'autore su Facebook: https://www.facebook.com/note.php?note_id=10150207034414337

sabato, aprile 09, 2011

L'avvocato legislatore pro domo sua

A proposito della “funzione difensiva di imputato” svolta in un processo penale contemporaneamente allo svolgimento della “funzione legislativa” in Parlamento dove un avvocato-onorevole elabori proposte o esprima voti su leggi di modifica dell'ordinamento giuridico sostanzialmente a favore dell'imputato (nei confronti del quale fornisca o ambisca di fornire ovvero stia già fornendo la sua prestazione professionale) vorrei porre, con la massima cautela e con il massimo rispetto nei confronti di eccellenti professionisti, degli interrogativi che a me sembrano, a prima vista, appartenere alla sfera dell'etica pubblica. Quanto agli aspetti deontologici del professionista impegnato nel duplice ruolo di difensore di imputato e di legislatore proponente modifiche legislative che si risolvano in favore del suo assistito, esprimo perplessità nel formulare interrogativi perché, com'è noto, spesso diventa più importante formulare la domanda che provvedere per la risposta. Peraltro e per quanto io ne sappia, risulta difficile formulare interrogativi ed elaborare risposte perché non sembrerebbe che esistano in Italia dei precedenti cui far riferimento. Una riflessione potrebbe essere fatta alla luce del giuramento che ogni avvocato è tenuto a fare quando chiede l'iscrizione all'albo. La formula del giuramento, ai sensi dell'art. 12 R.D.L. 27 novembre 1933 n. 1578, è la seguente: “ Giuro di adempiere i miei doveri professionali con lealtà, onore e diligenza per i fini della giustizia e per gli interessi superiori della Nazione” e tale giuramento pone in capo all'avvocato particolari doveri che non sono quelli strettamente legati agli interessi della parte che difende. E poiché nel processo penale esiste ed è necessaria la tutela delle vittime dei reati ed è presente la pretesa punitiva dello Stato nei confronti dell'imputato, risulta complicato definire il ruolo dell'avvocato che sia difensore di una parte del processo, cioè dell'imputato, e, nel contempo, promotore, specialmente a processo iniziato, di una legge modificativa dell'ordinamento che si risolva in favore dell'imputato. A tal proposito, non vi è dubbio che si verifica, nei fatti, un vero e proprio sbilanciamento con privilegi a favore dell'imputato e in danno della parti offese ed in danno della pretesa punitiva dello Stato. In base all'art. 111 della Costituzione, il giusto processo è quello che si svolga “in condizioni di parità” tra le parti. Sta di fatto che la parte postasi a difesa dell'imputato in siffatta situazione si dota (o è dotata) di un potere e di una “forza” in più che fa vedere e intravedere una effettiva disparità fra accusa e difesa. Certamente quanto avviene in Parlamento è estraneo al processo. Ma il deliberato parlamentare (la legge di modifica dell'ordinamento) finisce poi per ripercuotersi (per convergere) sul processo. Ecco perché, a mio modesto avviso, potrebbero insorgere delicate questioni di compatibilità fra le due funzioni. La parte offesa potrebbe eccepire nel corso del processo tale incompatibilità ovvero chiedere all'ordine degli avvocati di pronunciarsi in merito? Io non so trovare risposte che abbiano riferimenti normativi precisi, ma risulta di solare evidenza la debolezza (con danno e beffa)  della parte offesa dei reati quando si trova in un processo in cui l'avvocato che difende l'imputato lavora dentro e fuori dal processo per vanificare l'istanza di giustizia e di verità. E’ una debolezza che di fatto vanifica anche il disposto di cui all'art. 111 della Costituzione quando statuisce come debba svolgersi il processo: “in condizioni di parità” tra le parti in causa. Si avverte una sostanziale ingiustizia, una sostanziale iniquità e al centro di questa iniquità c'è il professionista iscritto ad un ordine professionale. C'è, a mio avviso,  una sorta di conflitto di interessi tra le due funzioni di legislatore e di difensore. Conclusivamente, gli interrogativi sugli aspetti e sulla portata di queste situazioni partono dalla considerazione che si verificano puntualmente danni e beffe nei confronti delle vittime dei reati. Queste situazioni sono lo specchio di un periodo storico dell'Italia caratterizzato da leggi ad personam e da leggi che favoriscono, in buona sostanza, l'impunità a chi abbia consistenti capacità economiche e politiche. Ci sarebbe, sempre sotto il profilo dell’etica pubblica, la necessità di evidenziare che i parlamentari siedono nel Palazzo dove si producono le Leggi in forza di una Legge elettorale che consente ad un capo partito di nominarli. Se lo stesso capo partito diventasse capo della maggioranza governativa e, ovviamente, capo della maggioranza parlamentare, si verificherebbe una situazione abbastanza imbarazzante qualora, da imputato, il medesimo capo del governo chiamasse a sua difesa nel processo penale uno dei suoi avvocati da lui nominati a svolgere la  funzione legislativa. Infatti il ruolo e la funzione dell’avvocato legislatore verrebbe a rendere “problematico” lo svolgimento della “funzione” difensiva dell’avvocato-onorevole. Mi fermo qui. Non vado e non oso andare oltre perché non mi piace spaccare il capello in quattro con argomentazioni in punta di diritto. Invece di guardare il “capello” preferisco guardare la “trave” degli aspetti sostanziali del problema. Aspetti sostanziali che, a mio modestissimo giudizio, sembrano caratterizzati da incompatibilità funzionale e strutturale nello svolgimento delle due differenti e distinte attività di difensore e di legislatore, incompatibilità che mi pare assuma particolare rilievo sia sotto il profilo dell’etica pubblica che sotto l’aspetto più propriamente politico. Dopo aver posto in termini problematici queste mie riflessioni, mi è venuta voglia di sospendere l’ulteriore approfondimento dello studio degli ordinamenti ”strutturali e funzionali” delle istituzioni italiane. E nel mio periodo di sospensione lascio i “luoghi del diritto” e chiedo “asilo politico” ai “luoghi della letteratura” dove chiedo rifugio in casa Manzoni. I suoi personaggi del '600 aiutano a comprendere certe realtà sostanzialmente immutate nel terzo millennio. Faccio a meno di citare i nomi dei personaggi manzoniani che vado a rileggere. Roma 9 aprile 2011. Antonio Pileggi

venerdì, aprile 08, 2011

I giovani italiani nell'epoca del "nepotismo di Papi"

C'è da riflettere su ciò che accade (e che non accade) nel mondo dei giovani italiani. Nell'epoca caratterizzata dal “nepotismo di Papi”, c'è un'intera generazione, quella che andrà a votare nelle prossime elezioni politiche, che è nata e cresciuta sotto il dominio e l'influenza della “egemonia culturale” di S.B. Le giovani generazioni hanno sentito parlare prevalentemente e quotidianamente di S. B., dei suoi “valori” che hanno il profumo della “valuta”, dei suoi modelli di vita che ormai riempiono le pagine dei giornali di tutto il mondo, delle sue barzellette da avanspettacolo e dei suoi vassalli sempre più numerosi e sparsi dappertutto, a destra e a sinistra. E non c'è da meravigliarsi se in questo “clima” i giovani possano aver “maturato” la convinzione di vivere in un “Feudo” dove “quod principi placuit legis habet vigorem”. Sbagliano tutti coloro che, nel porsi all'opposizione dell'attuale maggioranza governativa, si sono soffermati e si soffermano solo sul fatto che S.B. si interessi solo dei suoi personali interessi (e affari). Gli oppositori di minoranza hanno trascurato e trascurano di contrapporsi seriamente e fattivamente alla copiosa produzione legislativa intervenuta nell'ultimo quindicennio nei diversi settori dell'economia, della finanza, delle relazioni industriali, delle relazioni sindacali, del diritto civile, del diritto penale, del diritto amministrativo, del diritto del lavoro, del diritto al lavoro, della scuola, della ricerca scientifica, etc. In effetti S.B. ha governato e sta governando da lunghissimo tempo ed ha instaurato metodi di governo della cosa pubblica che sono, nei fatti e a dir poco, sconvolgenti. Ha trasformato il Paese attraverso una legislazione caratterizzata da un sistematico affievolimento dei principi e dei valori liberali e democratici. E non è nemmeno mancato l'assalto alla diligenza nel senso dell'occupazione e dell'appropriazione dei palazzi del potere. Sarebbe troppo lungo l'elenco delle leggi che hanno cambiato il volto e il “corpo” del nostro Paese. Addirittura il “corpo” elettorale è diventato un insieme di cittadini-sudditi costretti ad esercitare la “sovranità popolare” attraverso una legge elettorale palesemente truffaldina che, tra l'altro, conferisce (regala) alla più forte minoranza coalizzata una schiacciante maggioranza nelle istituzioni rappresentative della volontà del popolo. La mia generazione è nata sotto la monarchia ed ha potuto vedere nascere e crescere la Repubblica democratica nel nostro Paese dopo il disastro della seconda guerra mondiale. La Repubblica ha indicato ai giovani l'importanza del lavoro, l'importanza dei meriti e del merito. Ha ha messo al centro la Persona e il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. Alla nascita della Repubblica i principi e i valori fissati nella Costituzione erano un punto di riferimento condiviso, ancorché in presenza di molteplici e marcate divisioni politico-ideologiche fra le diverse formazioni politiche. Il pluralismo nella Politica era fonte di scontro e di confronto nell'ambito di regole condivise. Era un pluralismo fecondo di idee e di proposte. Era anche fecondo di controlli di natura politica sull'uso del potere esecutivo e sull'uso del potere legislativo. Nonostante fosse uscita dalla guerra distruttrice, l'Italia ha costruito il miracolo economico degli anni '60. La scuola della Repubblica ha conosciuto il fenomeno della “espansione scolastica” che ha fatto registrare progresso e diffusione della cultura. Come sono stati informati e formati i giovani dell'epoca si S.B. sulla storia dell'Italia e sulle attività politiche del '900 che hanno fatto grande il nostro Paese? Da chi e come sono stati informati? Qual'è il messaggio che proviene dalla classe dirigente che vive e vegeta affermando la liceità politica del dare da “bere” la non veritiera parentela della “nipote” di Mubarak? Qual'è il messaggio che proviene dalle “parentopoli” e dalle “dinastie” politiche costituite senza vero merito se non quello, per alcuni personaggi, di essere figli di papà? Cosa sanno e cosa pensano i giovani del merito? Perché ci sono uomini e donne che sono “collocati” o che ambiscono, senza pudore, senza merito e senza attitudine a porsi al servizio degli interessi generali, a candidarsi ad occupare incarichi negli apparati istituzionali? Come spiegare che S.B. ha goduto e gode finanche della “contestualizzazione”, laica e cattolica, dei suoi evidenti “peccati”? Come spiegare che recentemente, solo per fare un esempio, una giovane donna senza particolari meriti ha dimostrato di avere il solo merito di “nutrire” la sua ambizione di ottenere la nomina a ministro degli esteri? Quanta di questa gioventù senza particolari meriti è disseminata nelle istituzioni? Quali effetti ha prodotto e produce questa occupazione del potere pubblico? Quali conseguenze provoca questa occupazione del potere pubblico sulla gran parte dei giovani che quotidianamente si impegnano, e si devono impegnare, per costruire il loro futuro? Come spiegare che la Pubblica Amministrazione è ormai diventata un luogo di accaparramento di posti di vertice attraverso lo spoil system all'italiana inaugurato dalla sinistra e ampliato dalla destra? Mi permetto di esprimere l'avviso che quando cesserà l'epoca dell'egemonia “culturale” e politica di S.B. sarà necessario un serio e diffuso coinvolgimento dei giovani capaci e meritevoli per ricostruire il tessuto morale e politico del nostro Paese e per ridare credibilità alle istituzioni. Roma 9 aprile 2011 N.B. È la riproduzione della nota pubblicata anche su facebook

Il nepotismo dei Papi e il "nepotismo di Papi"

Il 5 aprile 2011 è una data che passerà alla storia del Parlamento italiano perché la vicenda della nipote di Mubarak è entrata a far parte di un dibattito e di una votazione in seduta plenaria dell'Assemblea preposta a produrre le Leggi dello Stato. I due protagonisti principali della vicenda sono un parlamentare conosciuto, aliunde, col nome di “Papi” e una minorenne denominata Ruby Rubacuori. Al riguardo, sarebbe molto interessante sviluppare una riflessione sulla natura, sul contenuto e su ciò che seguì al nepotismo dei Papi, quello senza discrezione e sfacciato che cominciò con Sisto IV e culminò con Alessandro VI, per confrontarlo con la natura, con la portata e con ciò che potrà seguire al nepotismo concernente la non veritiera parentela di Ruby Rubacuori con Mubarak. Oggi è il 6 aprile 2011. A caldo vorrei dire molte cose, ma ometto ogni commento perché sono dell'avviso che ogni parola che si volesse usare per commentare questa vicenda sarebbe una pietra. Mi limito a dire che il voto del 5 aprile 2011 è una pietra miliare di un'epoca ineffabile e memorabile. Roma 6 aprile 2011. Antonio Pileggi N.B. È la riproduzione della nota già pubblicata su facebook dove sono presenti anche commenti

domenica, aprile 03, 2011

Fatti di solare evidenza sulle centrali nucleari

E' stata sollevata la questione sulla più o meno alta pericolosità dei materiali impiegati nelle centrali nucleari. C'è una scuola di pensiero (scientifico) favorevole all'impiego del torio perché sarebbe meno pericoloso dell'uranio. Il torio produrrebbe pochissime scorie radioattive, la cui radioattività si estinguerebbe in poche centinaia di anni, a fronte dei milioni di anni delle scorie prodotte dalle centrali a uranio. La fissione del torio, a differenza di quella dell’uranio, non produrrebbe plutonio e quindi non sarebbe utilizzabile per costruire testate nucleari. Sembrerebbe che il premio Nobel Carlo Rubbia sia favorevole al torio piuttosto che all'uranio. Usare il condizionale per me è un obbligo perché sulle centrali nucleari, non essendo un esperto, non oso esprimere un giudizio. Ma mi risulta abbastanza convincente e affidabile quanto ho ascoltato dalla viva voce del Nobel Carlo Rubbia, che ha invitato il presidente del comitato italiano (“a favore”) dell'energia nucleare (Veronesi, medico e già ministro) a recarsi in Giappone, per rendersi conto di persona su cosa significhi e su cosa comporti l'impianto di centrali atomiche. Strano che il Nobel Carlo Rubbia non sembrerebbe tenuto in grande considerazione da parte dell'attuale Governo italiano. Non so di quanto credito goda Rubbia nell'ambito della opposizione. Sta di fatto che il suo invito rivolto a Veronesi ha una "forza" di inequivocabile significato e che in Italia l'opposizione è costituita da “partiti di governo provvisoriamente all'opposizione”. Strano che l'opzione nucleare italiana sia orientata all'utilizzo di materiali altamente pericolosi come l'uranio potenzialmente idonei a costruire anche bombe atomiche ad uso bellico. Costruire impianti e bombe che espongono il genere umano ad una apocalisse a portata di mano (o, meglio, a portata di centrale atomica) mi appare solo un "diabolico" buon "affare" economico per pochi individui i quali, comunque, sono abbastanza miopi perché il Pianeta terra sta rischiando di vedere azzerata l'esistenza della vita. Strano, molto strano, che la produzione di energia a bassissimo costo ricavata (generata) da fonti inesauribili, come l'energia solare, sia tenuta in scarsa considerazione. Guarda caso il Governo ha azzerato, di recente, gli incentivi economici a favore della produzione di energia solare. Perché non si segue l'esempio praticato da Obama che è molto impegnato a favore della produzione di energia pulita? Perché non si guarda con la dovuta attenzione su cosa accade in Germania dove la produzione di energia solare è molto più utilizzata di quanto non avvenga nel nostro Paese? Guarda caso, l'Italia è più ricca di sole rispetto alla Germania, ma più povera di impianti di produzione di energia solare. Quello che sta accadendo in Giappone non ha effetti limitati ad una circoscritta area geografica, ma ha conseguenze catastrofiche che minacciano l'esistenza della vita nel Pianeta. C'è poco da stare tranquilli e c'è poco da fidarsi di chi vuole costruire strumenti idonei alla preparazione dell'apocalisse. C'è chi parla di apocalisse incombente sul Pianeta Terra a proposito della impossibilità dell'uomo di controllare la sicurezza e la governabilità degli impianti produttivi di energia atomica. Le immagini delle centrali nucleari di Fukushima sono eloquenti e non hanno bisogno di commenti. E non hanno bisogno di commenti la scarsissima trasparenza e le evidenti reticenze (per non parlare di bugie) che hanno caratterizzato il contesto della tragedia nucleare di Fukcushima. Di umano, molto umano, c'è solo l'opera (il sacrificio) di tecnici e operai che sanno di essere votati a morte certa nel loro tentativo, ancora nemmeno riuscito, di contenere, limitare e arrestare la forza distruttiva generata dagli strumenti di morte costruiti dall'uomo. Roma, 2 aprile 2011. Antonio Pileggi

La legge del mare

Le immagini degli abitanti di Lampedusa che portano indumenti e coperte a Yeab, che è stato definito il nuovo Mosè, sono quelle che passeranno alla storia dell'umanità che accoglie e non respinge, che conosce, vive e tramanda la “legge” del mare, cioè il sentimento della solidarietà, un sentimento che non è una categoria dello spirito. La “legge” del mare, che mette in primo piano la solidarietà fra gli esseri umani, esiste da sempre nella cultura di tutti i popoli rivieraschi, specialmente fra tutti i popoli che si affacciano sul Mediterraneo. La bellissima Lampedusa non sfugge a questa Legge e la sua gente ha il “gene della solidarietà”. Voglio ricordare alcuni usi e costumi delle isole del Mediterraneo. Le ho apprese, nel secolo scorso, dalla viva voce di un “indigeno” novantenne di un'isola del Mediterraneo che evidenziava il suo disagio a fronte dell'arrivo di un certo turismo iniziato nella seconda metà del '900: questo turismo aveva modificato le abitudini degli abitanti e la tipologia costruttiva delle case. Il novantenne ricordava case senza porte. Proprio così, senza porte perché bastava una stuoia. Le case erano a due piani, un piano terra e un primo piano per la camera da letto. Sul tavolo del piano terra delle case c'era sempre una bottiglia di vino e un bicchiere per l'eventuale ospite di passaggio. Di notte i padroni di casa dormivano tranquilli. L'anonima persona di passaggio avrebbe bevuto il “suo” bicchiere di vino e avrebbe proseguito, rifocillato, il suo viaggio. Le isole del Mediterraneo, tutte le isole, sono bellissime anche perché sanno interpretare al meglio la storia della cultura che ha segnato la civiltà del mare. La civiltà della solidarietà e dell'ospitalità. Roma 28 marzo 2011 Antonio Pileggi* *presidente di okeanos

lunedì, gennaio 17, 2011

L'Italia degli scadali

Ennesimo scandalo in Italia. Coinvolta un'Alta carica dello Stato italiano che ha lanciato un suo messaggio televisivo al riguardo. Immagino ciò che si possa dire e ciò che si possa pensare dell'Italia in tutto il mondo. E cerco di immaginare ciò che ogni italiano, che si trovi all'estero, possa dire su ciò che va accadendo in Italia.

venerdì, gennaio 07, 2011

Perché, per come e per chi, dopo tangentopoli, le parentopoli, le "cricchepoli", etc.

Leggo su facebook e sui media italiani di continui scandali (o presunti tali) sull'assunzione nelle pubbliche amministrazioni di parenti, amici di partito, compari, clientele politiche e via dicendo. Non entro affatto nel merito di accuse che dovranno essere doverosamente sottoposte alle verifiche del caso. Invece voglio richiamare l'attenzione sul perché possano accadere certi fatti. Sono diventate di moda parole del tipo "parentopoli" e "criccopoli" che prendono il posto della ormai datata "tangentopoli". Per intanto sembra dormiente e nessuno riparla del fenomeno dei fannulloni, che sarebbero coloro che, impiegati nella pubblica amministrazione, godrebbero di uno stipendio fisso senza lavorare adeguatamente. Io non ho mai creduto al fenomeno dei fannulloni per come è stato descritto perché se un fannullone ci dovesse essere, la responsabilità del singolo fannullone è immediatamente riconoscibile nel dirigente preposto allo specifico ramo dell'amministrazione in cui si presta servizio. Quindi colgo l'occasione per fare un commento in generale sulle conseguenze della legislazione italiana che produce fenomeni che tutti criticano, senza risalire alle origini delle vere responsabilità e senza affrontare alla radice importanti questioni di etica pubblica. In Italia gli stessi assessori comunali, Provinciali e Regionali sono posti a capo di importanti rami dell'amministrazione pubblica a scelta del sindaco o dei Presidenti di Provincia e di Regione. I controlli di natura politica sono quasi nulli perché gli assessori non devono avere nemmeno il requisito di essere stati eletti nei rispettivi consigli comunali, provinciali o regionali. Inadeguato è l'altro controllo politico, cioè quello degli organi collegiali preposti a controllare l'operato degli assessori (consigli comunali, provinciali o regionali) perché questi ultimi hanno scarsi poteri. Infatti l'elezione diretta di sindaco e di presidenti di provincia e di regione è collegata al conferimento di amplissimi poteri di inamovibilità e di stabilità del potere esecutivo. I controlli di natura gestionale e amministrativi sono molto "tenui" perché i controllori sono nominati dalla maggioranza che sostiene il sindaco o i Presidenti di Provincia e Regione. Nei comuni c'era una volta il segretario comunale, funzionario governativo assunto con concorso (quindi non alle dirette dipendenze del sindaco). In qualche modo controllava la legittimità (non il merito) degli atti prodotti dalla Giunta. Ma i segretari comunali hanno subito un cambiamento di status e vengono ora scelti dal Sindaco. Per farla breve, nei nostri tempi, un Sindaco in Italia ha più poteri di quanto non ne avesse un Podestà di epoca fascista. E, d'altronde, lo stesso Berlusconi, in ogni suo atto, dimostra di voler essere e di voler operare come se fosse il Sindaco d'Italia (i suoi difficili rapporti con gli altri Poteri dello Stato sono generati dal suo desiderio di operare con gli stessi amplissimi poteri dei sindaci dei comuni). A ciò è da aggiungere che spoil system all'italiana e altre leggi e leggine per assumere direttamente e senza procedure concorsuali personale nella pubblica amministrazione, sono uno dei mali peggiori dell'ultimo ventennio. E' stato inoculato, nel midollo spinale del corpo dello Stato, il virus del posto da ottenere facilmente. Ci sono personaggi che devono la loro fortuna politica al fatto che si sono dilettati e si dilettano di scrivere trattati sui fannulloni nella pubblica amministrazione. E sono considerati giganti della moralizzazione delle pubbliche amministrazioni. Ricevono anche incarichi retribuiti grazie a questa loro competenza nell'esaminare i fannulloni. Nessuno analizza le leggi e le leggine che aprono pertugi (nel senso che derogano al principio generale dell'assunzione con procedura concorsuale) per assumere ad libitum parenti, amici, compari, e altro ancora. Quanti deputati e senatori (cioè legislatori) si sono mai preoccupati di fare questo esame alle leggi che essi legislatori producono velocemente, nonostante la doppia lettura di camera e senato? Chi fa la valutazione di impatto di queste leggi? Quanti e quali enti pubblici aggirano impunemente le leggi che li obbligano ad effettuare il reclutamento di personale tramite procedure concorsuali? Chi controlla? Con quali esiti? Addì 10 dicembre 2010 Antonio Pileggi

Rosa Parks. Persone e fatti politici in un primo dicembre dell'Italia di oggi e dell'Alabama del secolo scorso

Il 1 ° dicembre 1955 a Montgomery, Alabama , Rosa Parks, che aveva 42 anni, rifiutò di obbedire ad un autista di autobus, di nome James Blake, che le voleva imporre di cedere il suo posto per far sedere un passeggero bianco. Prima di questo episodio c'erano stati altri casi di disobbedienza civile alle leggi razziali. Ma da quell'atto di sfida del 1 dicembre 1955, Parks divenne un simbolo importante del moderno movimento per i diritti civili. E divenne un'icona internazionale di resistenza alla segregazione razziale. Ovviamente è stata una esponente importante del movimento che faceva capo a Martin Luther King nelle vicende che ormai sono state consegnate alla storia dell'umanità. Nell'Italia del terzo millennio, c'è un partito che si chiama Lega nord. E c'è un un giovane che è diventato molto famoso anche perché vorrebbe introdurre, sull'uso dei tram pubblici, normative che assomigliano molto alle leggi di tipo razziale nel senso che vorrebbe assicurare la riserva di alcune carrozze ai soli residenti di una città. Particolare significativo: questa è una città già scelta per farvi svolgere una manifestazione internazionale, cioè Expo 2015. Questo persona, molto presente e sempre invitato nelle televisioni italiane, ha fatto carriera diventando addirittura deputato italiano e deputato europeo. Ho sentito dire che nel suo partito politico chi la spara più grossa guadagna in carriera politica. Oggi, in Italia, c'è una situazione politico-sociale (ed elettorale) che favorisce queste ineffabili carriere. Poiché la Lega è un Partito al governo dell'Italia unitamente al Partito di Berlusconi, non ci troviamo di fronte ad un fatto di tipo folcloristico. E chi ha occasione di andare fuori dell'Italia prova grande imbarazzo e non sa trovare parole per spiegare quanto va accadendo in Italia. Addì 1 dicembre 2010. Antonio Pileggi

DA GOBETTI A SAVIANO: LA RIVOLUZIONE LIBERALE. Costituito un Gruppo di discussione su facebook

Roberto Saviano, in una intervista pubblicata sul Sole 24 Ore del 28 Novembre 2010, si è definito un liberale sostenendo che, purtroppo, il liberalismo in Italia non attecchisce perché stretto tra la morsa del cattolicesimo e del comunismo. La constatazione di Saviano, che appare fondata, ha generato un dibattito su Facebook e nella stessa giornata del 28 Novembre è stato costituito un Gruppo intitolato “Da Gobetti a Salviano: la rivoluzione liberale”. Facebook, come sempre, è la palestra in cui le idee vengono spesso sviluppate e rilanciate. Questo Gruppo di Facebook ha inteso porre il richiamo alla vita e alle opere di Piero Gobetti, un liberale autentico che ha onorato, anche col suo estremo sacrificio, la storia dell'Italia e del pensiero liberale. Ecco una delle illuminanti affermazioni di Gobetti che, per molti versi, sembra scritta per i tempi che stiamo attraversando: «si può rinnovare lo Stato solo se la nazione ha in sé certe energie (come ora appunto accade) che improvvisamente da oscure si fanno chiare e acquistano possibilità e volontà di espansione». Un commento del Presidente del Consiglio Nazionale del Partito Liberale, Enzo Palumbo, ha preso in esame le dichiarazioni di Saviano in modo da chiarire il punto di vista del Partito Liberale Italiano sulla questione. Riporto qui di seguito integralmente l'intervento di Enzo Palumbo. Nel leggerlo si riscopre un linguaggio e si ritrovano riflessioni e concetti che vogliono gettare luce sulla questione liberale: “Nella sua intervista di oggi sol Sole Saviano non ha detto soltanto di essere "liberale", ma l'ha anche indirettamente dimostrato allorché ha detto di avere capito che la cultura liberale in Italia è stata (e tuttora è) minoritaria, anche perché stretta nello scontro (e poi anche nell'incontro) tra radici cattoliche ed egemonia culturale marxista.A questa tradizionale morsa -- che nel tempo si è allentata per via della secolarizzazione della società italiana e della crisi del comunismo internazionale (con conseguente sparizione della DC e del PCI) -- si è da quindici anni sostituita una morsa ancora più soffocante, quella del forzato bipolarismo "destra" e "sinistra", l'una e l'altra portatrici della pretesa di rappresentare anche i liberali.In questa situazione, bisogna riconoscere che i liberali ci hanno messo del proprio, facendosi cooptare, di volta in volta ed a seconda dei casi e delle persone, chi dalla destra e chi dalla sinistra, e chi, a rotazione, da entrambe.Se fossimo in un Paese normale, e non nel Paese del forzato bipolarismo in cui siamo, ad illustrare le rispettive tesi in TV sarebbero andati, non già, genericamente, uno di c.d. "destra" ed uno di c.d. "sinistra", ma ci sarebbero andati un liberale, un socialista, un cristiano-sociale ed un verde ambientalista, che rappresentano oggi le quattro fondamentali culture politiche che si confrontano ogni giorni nell'Europa di cui tanto ci riempiamo la bocca, ma purtroppo non in Italia.Poi, volendo offrire un quadro completo, sarebbe stato anche giusto offrire una finestra di opportunità, spazio televisivo permettendo, anche ad un neofascista ed un post-comunista, e, perché no, anche un anarco-individualista o un cattolico-tradizionalista.Questo avrebbe voluto il pluralismo della politica, piuttosto che la forzata omologazione alla quale siamo da quindici anni costretti.E solo così il Paese sarebbe stato in grado di ascoltare tutti, maturare una convinzione e poi, nell'occasione giusta, scegliere.Invece in TV c'è andato Fini per la destra e Bersani per la sinistra, entrambi dicendo cose che in parte sono "anche" liberali, ma che chiaramente non sono "essenzialmente" tali.Cosicché, l'italiano che non è né di destra nè di sinistra non si sente adeguatamente rappresentato da nessuno, non capisce più "chi sia che cosa", e finisce per non andare neppure a votare, convinto che "tanto, sono tutti eguali tra di loro", ma nessuno è "eguale" o almeno "simile" a me.Ed allora, a Saviano (che ha sin qui mostrato di avere gli attributi giusti per dire come le cose stanno ma anche per individuare come potrebbero/dovrebbero andare), come a chiunque altro apra uno spiraglio in tal senso (compreso Travaglio, che tutto è fuorché un uomo di sinistra o un giustizialista, come la vulgata corrente impropriamente lo definisce), potremmo/dovremmo chiedere di squarciare il velo del silenzio circa l'esistenza in Italia di un Partito che, nonostante tutto, continua a fare testimonianza del suo essere "liberale e basta", secondo l'insegnamento dei Padri del Liberalismo italiano (da Croce a Malagodi, per citare solo i defunti).E, per questo, non c'è bisogno di offrirgli una tessera, che Saviano di fatto già possiede in ragione delle battaglie che sta conducendo. C'è invece assoluto bisogno che, nella piazza mediatica in cui è ridotta l'Italia, si sappia che i liberali esistono e non stanno né nella "destra" nè nella "sinistra", anche se l'una e l'altra possono dire (spesso) e fare (raramente) cose liberali.E quindi nessun affidarsi all'uomo della provvidenza mediatica, ma solo l'auspicio che dei liberali in qualche modo si parli, non già per le liti interne che non si fanno mai mancare sino a mimare, per i più futili motivi, la scissione dell'atomo, ma per la testimonianza minoritaria che da anni portano avanti nell'oscurità più totale.” Fin qui le considerazioni di Enzo Palumbo. Per quanto mi riguarda, osservo che il richiamo a Gobetti fatto dal Gruppo di Facebook, sembra appropriato e foriero di riflessioni utili per questa strana e, per alcuni versi, drammatica situazione italiana che stiamo attraversando. 30 Novembre 2010 Antonio Pileggi