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Ovviamente non crediamo ai miti pagani o di altra natura. Ma bisogna tenere in gran conto il significato profondo di alcuni miti. Okeanos è quanto mai significativo. I visitatori della Fontana di trevi a Roma conoscono il mito di Okeanos?

Antonio Pileggi
Presidente di Okeanos

domenica, dicembre 11, 2011

Lifelong learning

Mentre l’Italia in crisi politica, economica e finanziaria si sta domandando come superare questa grave situazione, pochi si interrogano sul livello culturale degli italiani che hanno trovato, nell’invadenza televisiva finalizzata alla disinformazione sistematica, la fonte principale del sapere collettivo. Un sapere dove i “codici di apprendimento” principali, per giovani e meno giovani, sono strumentalmente “sfruttati” da ineffabili trasmissioni televisive delle quali è meglio non parlarne per non far loro ulteriore propaganda.
Tullio De Mauro, ex ministro della Pubblica istruzione e insigne linguista, intervenendo in un recente convegno svoltosi a Firenze, ha reso noto dati veramente allarmanti confermati da due recenti studi internazionali: il 33% di cittadini sa leggere, ma riesce a decifrare solo testi di primo livello in una scala da 1 a 5 (un ulteriore 33% si ferma a testi di secondo livello); il 71% è al di sotto del livello minimo di lettura e comprensione di un testo scritto in lingua italiana di media difficoltà; il 5% non è in grado di decifrare lettere e cifre; non più del 20% della popolazione conosce l’uso appropriato della lingua italiana ed ha le competenze minime necessarie per risolvere situazioni complesse e problemi della vita sociale quotidiana.
De Mauro e le indagini statistiche da molto tempo ci informano su questa drammatica situazione, ma è ormai di tutta evidenza un altro dato: i decisori politici italiani e i media da un bel po’ di anni sono in tutt’altre faccende affaccendati.
E mentre sono state messe in atto politiche caratterizzate da tagli alla scuola e alla cultura, l’Italia è rimasta indietro, molto indietro, rispetto agli obiettivi, tutti disattesi, che erano stati fissati nelle indicazioni europee in materia di educazione permanente e ricorrente e in materia di interventi seri per ridurre drasticamente la dispersione scolastica.
Uno degli ultimi tentativi per affrontare in termini legislativi, cioè con un organico disegno di legge in materia di apprendimento permanente, ci fu nel 2007. Ma a causa del termine anticipato della quindicesima legislatura il disegno di legge cadde nel dimenticatoio e, in seguito, sono stati praticati interventi in via amministrativa i cui risultati sono sotto i nostri occhi e sotto gli occhi vigili di De Mauro.
Per memoria vorrei ricordare che il disegno di legge del 2007, dopo aver ricevuto il parere della Conferenza Stato-Regioni, era stato predisposto in coerenza con gli indirizzi espressi in sede comunitaria e aveva previsto una strategia per il cosiddetto “apprendimento permanente” (lifelong learning) capace di far fronte alla diffusa inadeguatezza di istruzione nelle persone in età lavorativa. Col disegno di legge si indicavano obiettivi finalizzati ad incoraggiare e a favorire la partecipazione a occasioni di apprendimento continuo. In buona sostanza, l’intervento legislativo aveva la piena consapevolezza, confermata dalle ricorrenti rilevazioni statistiche, del rischio di un nuovo analfabetismo che, di fatto, ostacola fortemente l’accesso al lavoro di categorie deboli, alimenta l’esclusione sociale e impoverisce le potenzialità di sviluppo dell’intero Paese.
Per avere cognizione esatta dei ritardi, dell’insensibilità e della miopia dei decisori politici italiani, basta citare un documento europeo del novembre 2001, cioè di dieci anni fa, che è intitolato “Realizzare uno spazio europeo dell’apprendimento permanente” e che, guarda caso, fin dal titolo mette in evidenza un proverbio cinese del 645 avanti Cristo: “Quando fai piani per un anno, semina grano. Se fai piani per un decennio pianta alberi. Se fai piani per la vita, forma e educa le persone.”
Antonio Pileggi

© Rivoluzione Liberale
Articolo pubblicato il 2 dicembre 2011 su Rivoluzione-Liberale. Ecco il link:
http://www.rivoluzione-liberale.it/lifelong-learning/

lunedì, dicembre 05, 2011

Etica pubblica e pubblica funzione

I Docenti di tutte le scuole e, in particolare, i “Maestri” della scuola elementare, ora si chiama scuola primaria, lasciano sempre il segno nei processi di formazione del cittadino.
Anche in occasione dello svolgimento di un pubblico incarico al di fuori della comunità scolastica si può diventare “Maestro” impegnato in attività didattiche tali da lasciare una traccia indelebile sia nella formazione delle giovani generazioni e sia nella società.
Chi volesse proporsi a svolgere un incarico istituzionale nel pubblico interesse, e non per assecondare una propria ambizione o aspirazione personale, può trovare, in alcuni insegnamenti, delle indicazioni di alto valore etico, politico e sociale.
Senza scomodare le teorie facenti capo alle scienze pedagogiche e alle scienze politiche, ci sono due episodi che spiegano il significato e la portata dei “chiamati” nella dimensione dell’etica pubblica.
Il primo episodio si è verificato il 19 maggio 2006 quando il neo eletto Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, appena insediato, decise di ricevere al Quirinale i bambini di una scuola elementare come primo atto del suo settennato.
Nel corso dell’incontro si presentò l’occasione per rendere di solare evidenza e per spiegare in modo chiaro e netto cosa sia e come si possa diventare un “chiamato” per l’espletamento di un incarico istituzionale.
Quel giorno il Presidente Napolitano dialogò con i bambini in un clima festoso e gioviale. Un bambino gli chiese se avesse mai sognato da piccolo di fare il Presidente della Repubblica. “Addirittura, quando avevo la vostra età c’era la monarchia” – rispose Napolitano – “quindi non potevo sognare di fare il Re, tantomeno il Presidente della Repubblica”.
“In ogni caso – aggiunse – non si tratta di cose che qualcuno può sognare di poter fare. Può capitare di essere chiamati a questa responsabilità impegnativa e pesante. Si può sognare, invece, di diventare un bravo pittore, un grande musicista, un bravo professionista, ma non un Presidente della Repubblica. Non ci si può proporre di diventarlo: si è chiamati a farlo”.
A conclusione dell’incontro regalò ad ogni bambino una copia della Costituzione dicendo loro che in questo testo c’è scritto come è e come dovrebbe essere l’Italia.
Domande e risposte consentirono lo svolgimento di un dialogo educativo foriero di tantissimi significati e, sotto molteplici aspetti, quell’incontro è memorabile perché è una lezione di “etica pubblica” e di storia, è un esempio di didattica di grandissimo significato morale, civile e politico, è una dimostrazione di cosa dovrebbe fare un “Maestro” a scuola per la preparazione del cittadino, è una indicazione precisa sulle qualità e sulle aspirazioni personali di chiunque volesse pretendere di proporsi a svolgere un ruolo pubblico nell’interesse generale della comunità nazionale di un Paese.
Il secondo episodio è sotto i nostri occhi in questo novembre del 2011. Riguarda il Governo dei “chiamati” che è la caratteristica dell’Esecutivo affidato alla guida del sen. Mario Monti. Ovviamente non sono i “chiamati” nel significato evangelico, biblico, o religioso. ma nel significato più squisitamente laico e politico. Infatti è stato il Parlamento, espressione degli eletti dal Popolo sovrano, che ha attribuito, con la fiducia, l’investitura di natura politica al Governo. Sulla base di siffatti presupposti, parlare di Governo tecnico è del tutto fuori luogo.
In buona sostanza, si è concretizzata una eccezionale situazione in cui al Governo del Paese è stata preposta una squadra di Persone “chiamate” a svolgere un compito che solitamente è affidato a dirigenti selezionati nell’ambito della “carriera” politica. Una carriera, quest’ultima, che è caratterizzata dalla capacità dei singoli (e dei gruppi) di proporsi allo svolgimento di pubbliche funzioni.
Caratteristica dei chiamati non è il loro desiderio personale (e di gruppo) di occupare un alto incarico pubblico, bensì il desiderio (la volontà) di altri, dotati del potere di scelta, di stabilire requisiti oggettivi, e non aspirazioni personali, necessari per lo svolgimento di una pubblica funzione.
L’accesso ad una pubblica funzione diventa, attraverso la procedura di nomina del chiamato, un accesso sottoposto a valutazioni di convenienza e di opportunità che trascendono le aspirazioni personali del nominando, tecnico o politico che sia.
Antonio Pileggi

© Rivoluzione Liberale
Questo articolo è stato pubblicato da Rivoluzioneliberale.it il 28Novembre 2011. Ecco il link:
http://www.rivoluzione-liberale.it/etica-pubblica-e-pubblica-funzione/