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Ovviamente non crediamo ai miti pagani o di altra natura. Ma bisogna tenere in gran conto il significato profondo di alcuni miti. Okeanos è quanto mai significativo. I visitatori della Fontana di trevi a Roma conoscono il mito di Okeanos?

Antonio Pileggi
Presidente di Okeanos

domenica, aprile 15, 2012

Dio Po, Dio Denaro e sogni leghisti

C’è stato a Bergamo, di recente, una manifestazione della Lega, un Partito che, a quanto si dice, da 12 anni non celebra un congresso perché si tratta di uno dei partiti personali e carismatici, e dotati di grandi somme di denaro, che hanno dominato la scena politica e governativa italiana nell’ultimo quarto di secolo. Gli organizzatori lo hanno denominato giorno dell’orgoglio dopo alcuni scandali sull’uso “improprio” del denaro ricevuto dalla Lega attraverso il finanziamento pubblico dei partiti. Ma più che di orgoglio sarebbe appropriato parlare del giorno dell’avvento del successore al trono leghista. I seguaci del culto al Dio Po hanno dichiarato di voler fare pulizia al loro interno e di voler iniziare un nuovo corso. Sta di fatto che il Dio Denaro non sembrerebbe estraneo alle devozioni, almeno per quanto si apprende su alcuni personaggi e su alcuni episodi, poiché, da quanto si legge sui giornali, si apprende che ci sarebbero o ci sarebbero stati di mezzo non solo i prelievi impropri di soldi per usi privati, ma anche questioni su ingenti investimenti in Tanzania e, sembrerebbe, in Croazia, questioni su una Banca da conquistare, questioni su lingotti di oro e su altre vicende legate al “culto” del denaro.
A Bergamo, Roberto Maroni, aspirante alla successione di Bossi, nulla ha aggiunto e nulla ha detto sul retroterra culturale dei seguaci del Dio Po, dei riti e dei matrimoni celtici, del rito dell’ampolla; nulla ha detto per spiegare il perché, per oltre un decennio, la convenzione di Strasburgo sulla lotta alla corruzione sia stata lasciata nei cassetti del Parlamento; nulla ha detto sul perché l’Italia ha quasi depenalizzato il falso in Bilancio. Le questioni dell’orgoglio leghista si fermano a due questioni scoppiate di recente. La prima riguarda il così detto “cerchio magico”, che sarebbe un gruppo ristretto di potere leghista colpevole, a quanto sembra, di averlo escluso dalle decisioni del Partito. La seconda questione riguarda il denaro. Qualche giornale ha notato e annotato il fatto che Roberto Maroni abbia “postato” sul suo profilo di facebook un fotomontaggio in cui lo si vede volgere lo sguardo al decalogo del nuovo corso leghista annunciato a Bergamo: al primo posto del decalogo le prime due parole sono “i soldi”, per l’esattezza, “i soldi alle sezioni”. Insomma, un decalogo di obiettivi ambiziosi e di grande respiro culturale.
Prima, durante e dopo il convegno, la stampa e le televisioni italiane hanno dato uno spazio enorme a soggetti e a comizi ineffabili. I soliti teatrini televisivi hanno fatto da corona e da corollario al convegno per spiegare il nuovo corso della Lega. Ma non è stato posto a sufficienza l’accento sulle varie vicende oggetto dell’operazione, un’operazione che è stata anche di natura “mediatica” per rifare la cosmesi ad un movimento politico che sta facendo i conti con la storia. D’altronde, a sentire le dichiarazioni dei medesimi partecipanti al convegno, si comprende che siamo innanzi a vicende legate a lotte intestine finalizzate alla conquista dello scettro del comando nel partito.
C’era chi agitava un cappio: un bel modo per ricordare all’Italia e al Mondo che questo nostro Paese ha dato i natali a Cesare Beccaria. E c’erano tante persone che avevano in mano una scopa.
Anche l’ex ministro Maroni era sul palco con una scopa in mano per spiegare, ai suoi amici e sodali di sempre, un concetto e un'azione: pulizia. La pulizia, in sostanza, sarebbe una stagione di allontanamento di una parte di suoi colleghi di partito. Poi, con parole solenni, ha fatto un comizio concluso con baci e abbracci scambiati con il vecchio Bossi.
Alcune frasi di Maroni sono certamente da consegnare alla sua storia personale e alla storia del suo partito. L’ex ministro ha parlato dei "sogni" dei leghisti. Con parole ispirate, solenni e ricche di attesa, alla stregua di Martin Luther King quando pronunciò il suo famoso “I have a dream” il 28 agosto del 1963 davanti al Lincoln Memorial di Washhington al termine di una marcia in difesa dei diritti civili, Roberto Maroni ha annunciato da Bergamo all’Italia e al Mondo che i “sogni” della Lega sono quelli di realizzare “il progetto egemonico di cui ha sempre parlato Bossi” e che … “chi rompe le balle fuori dalle balle”. Proprio così, ha parlato di "balle". Ed ecco in evidenza il linguaggio, la cultura e i sogni di stampo leghista.
Io chiedo scusa a chi mi legge. Con un certo imbarazzo mi vedo costretto ad usare e a riprendere discorsi e parole siffatti che non fanno parte del mio stile comunicativo. Ma non potevo non riportare i "sogni" che vengono consegnati alla storia dal probabile successore di Bossi, sogni che si esprimono anche con riferimenti alle "balle".
In conclusione, vorrei considerare e far considerare che chiunque in futuro dovesse studiare come nascono, come vivono e come si conquistano i partiti in questo nostro sventurato periodo storico, dovrà cercare di spiegare, prima di tutto, il ruolo e la grandissima responsabilità dei media italiani che hanno dato e continuano a dare, in modo acritico, uno spazio veramente spropositato a comportamenti e linguaggi ineffabili finalizzati a mandare messaggi alla pancia e al sotto pancia della gente, a lotte di potere per la conquista del potere, a partiti che nascono sul predellino di un’automobile, a partiti personali e carismatici il cui carisma principale non è l’utopia, che è il vero motore della storia dell’umanità, ma la grande quantità di denaro a disposizione, a partiti, così detti leggeri che sono interessati all’acquisizione di consensi e di potere attraverso l’avvento del sedicente uomo forte di turno.
Roma 14 Aprile 2012

Antonio Pileggi

questo articolo è stato pubblicato in data odierna sul quotidiano on line Rivoluzione Liberale: http://www.rivoluzione-liberale.it/dio-po-dio-denaro-e-sogni-leghisti/
e sul blog di Okeanos

mercoledì, aprile 11, 2012

Il dopo Bossi e gli spazi per la Cultura politica

Le vicende concernenti l’uso “improprio” del denaro pubblico da parte della Lega e le dimissioni di Bossi, che sconvolgono il suo Partito e aprono nuovi orizzonti alla politica italiana, sono la puntuale nemesi storica del mantra Roma-ladrona recitato, per oltre un quarto di secolo, da ineffabili personaggi che hanno raccolto consensi parlando alla pancia della gente. Siffatti consensi hanno permesso alla Lega di occupare molto velocemente un ampio spazio politico lasciato libero da Partiti di antica tradizione distrutti, a loro volta, da scandali e scandalismi.
Ora è la Lega che sta facendo i suoi conti con la Storia. Ed è tempo per svolgere alcune riflessioni e per porsi alcuni interrogativi anche perché la Lega è il più antico Partito, fra quelli approdati nel Parlamento attraverso la legge elettorale che porta il nome di Calderoli, uno dei componenti il triunvirato prontamente nominato allo scopo di gestire quello che rimane o rimarrà dei Bossiani.
I commenti sui giornali e anche su Facebook, sono vari e di varia natura. E’ da segnalare quanto ha scritto su Facebook Fabrizio Geloni che, con onestà concettuale e con seria intransigenza, testualmente scrive: “leggo che alcuni politici avversari riconoscono in qualche modo a Bossi l’onore delle armi. Non sono affatto d’accordo. Hanno portato nella politica italiana razzismo, xenofobia, rozzezza, turpiloquio, populismo, demagogia. Sono 12 anni che non fanno un congresso, hanno invitato a buttare nel cesso il tricolore, hanno celebrato il dio Po e i matrimoni celtici, e ora viene fuori che gestivano le finanze pubbliche come roba privata. A cosa dovrei rendere onore?”
Geloni non parla alla pancia, ma al cuore e alla mente delle Persone ponendo l’interrogativo che dovrebbero porsi in molti. Io la penso allo stesso modo di Geloni e aggiungo che le “indulgenze” di molti politici nei confronti della Lega e dei suoi ineffabili dirigenti sono la dimostrazione della “resistibile” ascesa (nei Palazzi del Potere) consentita ad un “armata brancaleone” che ha avuto ed ha a disposizione tantissimo denaro mentre portava e porta in dote un “bagaglio culturale” che si è nutrito e si nutre attraverso l’esibizione del cappio nel Paese di Cesare Beccaria e, finanche, attraverso l’esibizione di titoli di studio che, a quanto pare, si possono comprare e, quindi, vendere nel Paese in cui la Cultura è, e dovrebbe essere, il bene più prezioso da tutelare e da sviluppare.
E’ difficile dimenticare e far dimenticare quanta “indulgenza” sia stata praticata nei confronti dei seguaci del rito dell’ampolla che scrivevano sui muri delle città del Nord la loro richiesta di abolire i Provveditorati agli Studi e le Prefetture. Guarda caso, i Provveditorati agli Studi sono stati aboliti. Le Prefetture no, ma in cambio un leghista è stato a lungo a dirigere il Ministero dal quale dipendono i Prefetti.
La Lega ha anche goduto, in aggiunta alle indulgenze, di sostegni e di alleanze con Forze politiche che, nel mentre cercavano e ottenevano il sostegno di Bossi, si professavano impropriamente, se non indegnamente, di essere portatori di principi e di valori liberali.
E’ appena il caso, al riguardo, ricordare che l’ultimo Ministro Liberale che è stato, nel secolo scorso, a Palazzo della Minerva, Salvatore Valitutti, ispirandosi agli insegnamenti di Benedetto Croce, aveva ricordato come “l’anemia culturale che colpisce un Partito richiede cure lunghe e pazienti”.
L’anemia culturale della Lega è stata “endemica” e pochi soggetti politici si sono preoccupati di combatterla. Ciò è avvenuto per vari motivi ancorché correlati alla nascita di giovani partiti fra i quali ne abbiamo uno nato con un annuncio lanciato dal predellino di un’automobile. Peraltro, il fenomeno leghista ha potuto procedere in parallelo, e in reciproco sostegno, col berlusconismo che, attraverso tagli alla Scuola e alla Cultura, attraverso il dominio sulle televisioni (editti bulgari e “veline in carriera” compresi), ha sostanzialmente imposto “modelli culturali” in cui, per esempio, non si sono sviluppati prese di coscienza e idonei anticorpi per mettere in mora la Classe politica che ha potuto “tranquillamente” attardarsi, per oltre un decennio, nella procedura di recepimento delle norme anti corruzione previste nella Convenzione di Strasburgo.
In questo contesto la “cultura” della Lega si è nutrita, indisturbata, di ineffabili riti celtici, del culto del dio Po, del mistero del “cerchio magico” e del rito dell’ampolla allo scopo di parlare, in definitiva, alla pancia della gente.
Nel contempo abbiamo assistito ad un “assalto alla diligenza” ovvero un assalto alle auto blu, a Ministeri da trasferire nei pressi del domicilio del potente leghista di turno, alla ricerca e all’uso “disinvolto” di privilegi che la Politica, quella con la “P” maiuscola, avrebbe dovuto e dovrebbe abolire senza indugi e senza indulgenze.
Si può parlare alla mente, al cuore e alla pancia della gente. C’è chi parla solo alla mente delle Persone e raccoglie pochi, ma duraturi consensi perché fondati sulla forza della ragione. C’è chi parla solo al cuore delle Persone e raccoglie significativi, ma temporanei consensi perché fondati sulle ragioni spesso effimere della passione che fa battere il muscolo cardiaco. C’è chi parla solo alla pancia della gente e raccoglie parecchi, ma temporanei consensi perché fondati su bassi istinti lontani dagli alti e nobili sentimenti coltivati dal cuore e dalla mente. Solo il parlare alla mente e al cuore delle Persone, e in primo luogo alla mente e al cuore delle giovani generazioni, può generare, in modo duraturo, consenso, condivisione, solidarietà, amore ed entusiasmo.
C’è da sperare che l’amore per la Politica seria, cioè quella colta e seriamente animata da spirito di servizio nell’interesse generale del Paese, si faccia strada e non lasci pericolosi vuoti.
I vuoti in politica non esistono. Essi sono velocemente occupati così come li occupò la Lega quando, brandendo un cappio, entrarono in crisi vecchi Partiti affetti dalla mala politica.
Ora, con l’uscita di scena di Bossi (e dopo la caduta di Berlusconi), si aprono ampi spazi a tutti coloro che volessero porsi ambiziosi obiettivi politici all’insegna della Cultura, della Trasparenza e dell’Etica pubblica.
La trasparenza, in particolare, deve essere messa al primo posto in tutto ciò che si decide e si attua nell’attività pubblica. L’etica pubblica, a cominciare dall’Etica della responsabilità, nel pubblico e nel privato, deve diventare patrimonio culturale condiviso. Tutti i controlli di natura politica, amministrativa e contabile, devono essere potenziati nei confronti dei soggetti pubblici i quali ultimi devono essere notevolmente ridotti di numero e qualitativamente rafforzati allo scopo di realizzare uno Stato “leggero” e poco invasivo della libertà dei singoli e dei gruppi. Deve porsi riparo allo spoil system all’italiana, che ha suscitato tanti appetiti e che ha fatto diventare problematico il rispetto dei principi del buon andamento e dell’imparzialità della Pubblica Amministrazione. Il merito e la competenza tecnica (e politica) devono trovare legittimazione piena e deve essere, altresì, definita in modo razionale la distinzione, se non la separazione, della responsabilità per gli atti di indirizzo e di controllo della Politica dalla responsabilità della gestione da parte dei dirigenti pubblici. La Corte dei Conti deve essere chiamata ad effettuare controlli nei confronti di tutti i soggetti destinatari di denaro del pubblico erario.
Infine, c’è da auspicare conseguenti comportamenti e regole che siano posti in coerenza con quanto previsto all’art. 49 della Costituzione per i Partiti politici. Il primato della Politica non verrà certamente meno, ma bisognerà vedere quale politica, ovvero la “qualità” della Politica che riuscirà a sopravvivere a questo periodo di “emergenza nazionale” affidato al Governo Monti.
La posta in gioco è la credibilità di un sistema politico-istituzionale che, in ogni caso, non può fare a meno dei Partiti e, nel contempo, non può fare a meno del consenso e della coesione sociale. Ecco perché, in queste situazioni in cui gli scandali ci fanno prefigurare svolte epocali, bisogna combattere il qualunquismo, l’antipolitica e l’analfabetismo politico.
D’altronde non bisogna mai fare un fascio di tutte le erbe. Si rischia di considerare cattive anche le buone erbe. La buona Politica, quella con “P” maiuscola, è importante ed è necessaria, anzi è assolutamente indispensabile. Bisogna avere (e selezionare) Politici che sappiano impegnarsi in modo trasparente e con la dovuta competenza per il bene comune. Molto dipende dalla capacità che avranno i vari decisori politici a ritrovare il senso dello Stato e a ripartire dagli insegnamenti e dalle preoccupazioni che, sulla questione morale, avevano affrontato, o tentato di affrontare, indimenticabili Uomini politici del ‘900: Aldo Moro, Giovanni Malagodi, Ugo La Malfa, Enrico Berlinguer, giusto per fare qualche nome significativo.
Quanto all’analfabetismo politico, Bertolt Brecht diceva: “Il peggior analfabeta è l’analfabeta politico. Egli non sente, non parla, né s’interessa degli avvenimenti politici. Egli non sa che il costo della vita, il prezzo dei fagioli, del pesce, della farina, dell’affitto, delle scarpe e delle medicine, dipendono dalle decisioni politiche. L’analfabeta politico è talmente somaro che si inorgoglisce e si gonfia il petto nel dire che odia la politica. Non sa, l’imbecille, che dalla sua ignoranza politica nasce la prostituta, il minore abbandonato, il rapinatore e il peggiore di tutti i banditi, che è il politico disonesto, il mafioso, il corrotto, il lacchè delle imprese nazionali e multinazionali.”

Roma 10 Aprile 2012

Antonio Pileggi

Questo articolo è stato pubblicato in data odierna sul web magazine Rivoluzione Liberale. Ecco il link:
http://www.rivoluzione-liberale.it/il-dopo-bossi-e-gli-spazi-per-la-cultura-politica/

sabato, marzo 17, 2012

Il valore dell'appartenenza ai Partiti

Ricchi di denaro ma impoveriti di consensi e di credibilità, alcuni Partiti hanno nella loro agenda la riconsiderazione del “valore” delle loro idee e della loro coscienza collettiva, valore che tiene (dovrebbe tenere) unito l’insieme del loro “capitale umano” costituito da iscritti, militanti e simpatizzanti.
I Partiti italiani, approdati in Parlamento attraverso la legge elettorale porcata, sono molto giovani e sono di recente formazione avvenuta attraverso la scomposizione e ricomposizione di vecchie formazioni politiche. Il Partito di maggioranza relativa è nato da poco sul predellino di un’automobile ed è già alla ricerca di una nuova identità mentre il Partito più antico è addirittura la Lega Nord che, a sua volta, sta attraversando una fase di ridefinizione del suo ruolo, come partito di lotta e di governo, a seguito della sua uscita dai Palazzi del potere governativo di livello nazionale.
Un dirigente politico della Lega, dopo aver svolto incarichi istituzionali di primissimo ordine, in questi ultimi giorni ha preso le distanze da una parte dei suoi colleghi di Partito, da lui definiti “Baluba”. Ha anche lasciato intendere che gli estremismi di stampo razzista della sua parte politica sono (sono stati) espedienti per acquisire consensi al Partito.
Le considerazioni dello “statista” devoto al Dio Po e seguace del rito dell’ampolla, dimostrano, a parte ogni altra valutazione, che taluni appartenenti alla casta dei politici intendono riproporsi innanzi all’opinione pubblica riverniciando il “castello” delle idee con cui hanno costruito le loro passate fortune elettorali.
E ciò avviene anche perché ormai sono di solare evidenza i disastri economico-sociali provocati da un sistema Italia caratterizzato dalla corruzione dilagante, una corruzione che non si vuole combattere seriamente come dimostra il ritardo ultradecennale nel recepimento della Convenzione di Strasburgo.
Sta di fatto che non c’è bisogno di effettuare indagini demoscopiche per avere contezza dell’assenza di grandi consensi nei confronti di una partitocrazia ricca di privilegi e di potere discrezionale impiegato (e impegnato) non per il bene comune, ma per trasformare in feudi le pubbliche istituzioni. Basta mettersi in ascolto della gente di qualsiasi ceto sociale per rendersi conto che quasi l’intera classe politica è distante mille miglia da ciò che pensano i cittadini.
Nel ciclo e riciclo delle carriere politiche, c’è un altro fenomeno che sta emergendo. Quello rappresentato da uomini di partito che preferiscono riproporsi all’opinione pubblica come rappresentati di liste civiche e che finiscono col mettere in secondo piano la loro appartenenza al Partito di provenienza. Un esempio è costituito dal sindaco di Verona che, nel ricandidarsi alla guida della sua città, preferisce presentarsi come leader di una lista civica piuttosto che come esponente del suo Partito.
Questo fenomeno finisce per ridurre il ruolo dei Partiti a strumenti per aggregare consensi e per la scalata a posizioni di potere da parte di singoli o di gruppi. In pratica l’elemento strumentale prende il sopravvento sul connotato valoriale. E così la coscienza collettiva all’interno del Partito si affievolisce e diventa una specie di “convinzione-convenienza comune” sulle modalità di conquista di potere personale e di gruppo. Questo ulteriore fenomeno spiega come le correnti all’interno di Partiti spesso diventano non correnti di pensiero, ma aggregazioni di interessi più legati alla carriera che alla coscienza collettiva e al complesso di valori aggreganti la comunità-partito. L’appartenenza non viene considerata un valore di primissimo piano e, quindi, non è un connotato identificativo dell’essere e del modo di essere per l’assunzione di responsabilità pubbliche.
 Quando l’appartenenza finisce per non essere pregna di valori identificativi, la specifica credibilità del candidato si affida ad altri connotati che non sono complementari, per esempio la competenza tecnica, ma essenziali e prioritari rispetto ai fini della medesima credibilità e della “presentabilità”.
Ecco perché diventano di grande attualità le riflessioni di Piero Gobetti quando, occupandosi di questioni attinenti all’etica pubblica, scriveva testualmente: “possiamo e dobbiamo partecipare alla vita dello Stato solo quando avremo sviluppato in noi dei valori concreti. Questo sviluppo comincia oggi per la volontà chiara in noi di organizzare le nostre coscienze”.
Sempre in tema di etica pubblica, un liberale come Einaudi, tanto per fare un esempio, assunta la carica istituzionale di Presidente della Repubblica sapeva (ed ha saputo) ben distinguere il ruolo istituzionale da quello dell’appartenenza ad un Partito. Quindi l’essere un liberale era (ed è stato) un elemento valoriale di sicuro affidamento. Per il liberale Einaudi l’aspetto ontologico dell’essere un liberale e l’aspetto deontologico del dover essere un Presidente di tutti gli italiani sono connotati valoriali che attengono anche all’affidabilità della sua carriera politica.
Nell’ultimo quindicennio, invece, il bipolarismo all’italiana, favorito dalla legge elettorale che “regala” un premio di maggioranza alla più grossa minoranza, ha consentito l’occupazione dei palazzi del Potere da parte di chi riusciva ad accaparrarsi la maggioranza governativa. Abbiamo assistito ad una specie di immedesimazione organica dei partiti di maggioranza con lo Stato. La maggioranza, favorita anche da una sciagurata legge sullo spoil system all’italiana, ha avuto un gioco facile nell’ occupare le istituzioni in molti settori della Pubblica Amministrazione. Il degrado della vita pubblica è stato favorito anche da una produzione legislativa sostanzialmente in deroga ai principi generali del buon andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione pubblica.
Ecco perché le parole di Gobetti possono essere un bel programma di natura etica e politica per i liberali che si accingono a celebrare il loro XXVIII congresso a fine marzo 2012. C’è da auspicare, al riguardo, che il pensiero e l’opera di Gobetti e dei grandi personaggi che sono la carta di identità di un Partito di antico lignaggio (Croce, Einaudi, Malagodi, Valitutti, etc.) possano segnare il cammino delle scelte dei liberali italiani.
 Roma 17 Marzo 2012
Antonio Pileggi

Questo articolo è stato pubblicato il 17 Marzo 2012 dal web magazine Rivoluzione liberale. Ecco il link:
http://www.rivoluzione-liberale.it/il-valore-dellappartenenza-ai-partiti/

In attesa del XXVIII Congresso dei Liberali

Lo slogan del prossimo Congresso Nazionale del Partito Liberale Italiano che si svolgerà a Roma dal 23 al 25 è “La mia storia, il mio futuro, la mia libertà”. Storia, futuro e libertà sono tre parole ognuna delle quali è una parola-chiave per interpretare il momento storico-politico che sta attraversando non solo l’Italia, ma l’intera Europa, gli Usa, i Paesi emergenti come il Brasile, i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, Russia, Cina e il resto del mondo. E’ un bel tema quello indicato dal Gruppo dirigente del PLI per il Congresso che riguarda un Partito di antico lignaggio e che ha sempre fatto, della continuità e della grandissima attenzione ai cambiamenti e all’innovazione, un suo modo di essere nella società italiana. Un Partito portatore di valori e principi ispirati principalmente e in via prioritaria alla dimensione dell’etica pubblica.
Saranno certamente sotto l’attenzione degli osservatori politici le indicazioni e le scelte che verranno adottate in occasione del Congresso.
Innanzi ad un possibile disfacimento ovvero alla scomposizione e ricomposizione dei Partiti italiani presenti nell’attuale Parlamento (il più antico Partito è la Lega), il Partito Liberale italiano ha parecchio da dire e parecchio da fare, specialmente sul piano culturale e sul piano economico, e potrebbe (dovrebbe) suscitare nell’opinione pubblica un interesse politico particolare. Celebrare il Congresso di un Partito di antica tradizione liberale, quella vera e non quella mascherata da annunci che sono stati posti in essere come paravento a politiche tutt’altro che liberali, è un’occasione di prima grandezza anche perché l’opinione pubblica è, giustamente, indignata e molto ostile ai Partiti e alla partitocrazia, specialmente quella nata e sviluppatasi nel corso della seconda Repubblica, una partitocrazia che ha generato una casta di privilegiati lontani dai bisogni reali dei cittadini e del Paese. Non ci sono da fare sondaggi per accertare quanto siano poco amati dagli italiani i “privilegiati” presenti nei Palazzi del potere con scarso senso dello Stato, con scarsa rappresentatività per via della legge elettorale “porcata” (varata a sostegno del bipolarismo all’italiana) e con scarsa consapevolezza della urgente necessità di un impegno politico idoneo a perseguire e tutelare il bene comune.
Roma 24 febbraio 2012
Antonio Pileggi
Questo articolo è stato pubblicato il 24 febbraio 2012 dal Web magazine Rivoluzione liberale. Ecco il link:
http://www.rivoluzione-liberale.it/in-attesa-del-xxviii-congresso/