Quando
si ricorda il rogo dei libri del 10 Maggio 1933 a Berlino non bisogna
perdere mai l'occasione di far comprendere alle giovani generazioni
il perché e il percome un regime liberticida possa alimentare il
disinteresse e, finanche, l'odio per i libri, cioè per la cultura.
La
prima cosa da ricordare è il fatto che non fu il Governo di Hitler
ad ordinare il grande rogo. Furono gli studenti che, infervorati
dalla propaganda di Joseph Goebbels contro "la cultura
decadente", si impegnarono con molto zelo a pianificare
l'effettuazione dei grandi falò dei libri considerati pericolosi per
la dittatura nazista.
Ciò
dimostra che, attraverso la propaganda di un regime non democratico,
si possono influenzare le masse per indurle a fare qualsiasi cosa.
Fra
gli autori considerati nemici del regime nazista c'era anche Albert
Einstein, che ci ha lasciato una testimonianza e un insegnamento da
tenere sempre presente. Nel suo libro "Come io vedo il mondo"
viene messo in luce che "i giornali di un Paese possono, in due
settimane, portare la folla cieca e ignorante a un tale stato di
esasperazione e di eccitazione da indurre gli uomini ad indossare
l'abito militare per uccidere e farsi uccidere allo scopo di
permettere ad ignoti affaristi di realizzare i loro ignobili piani."
In
quel 10 maggio 1933, il ministro della propaganda nazista, Joseph
Goebbels, mentre il grande rogo veniva alimentato da migliaia di
libri ridotti in fumo, fece uno dei suoi innumerevoli discorsi contro
la "cultura degenerata". E i roghi si moltiplicarono in
moltissime città tedesche.
Per
alimentare i cosiddetti Bücherverbrennungen (roghi di libri) gli
studenti andavano a caccia, nelle biblioteche private e pubbliche,
delle opere di pensatori, scienziati e artisti. Ecco alcuni nomi
degli intellettuali messi al bando dal nazismo: Albert Einstein,
Sigmund Freud, Hannah Arendt, Thomas Mann, Bertolt Brecht, Max Weber,
Karl Marx, Joseph Roth, Theodor W. Adorno, Walter Benjamin, Ludwig
Wittgenstein, Herbert Marcuse, Edith Stein, Max Weber, Erich Fromm,
l’architetto Walter Gropius, i registi Fritz Lang e Franz Murnau, i
pittori Wassili Kandinsky, Paul Klee e Piet Mondrian.
Cosa
sia successo dopo quei roghi lo sappiamo tutti. Ai roghi dei libri
seguirono puntualmente i roghi della seconda guerra mondiale, che
hanno fatto registrare il più alto numero di morti ammazzati della
storia dell'uomo, e l'Olocausto che, anche nel suo significato
etimologico, ὁλόκαυστος (olokaustos), esprime il concetto
di "bruciato interamente".
Cosa
andava accadendo in quel contesto storico nel nostro Paese? Siamo
stati estranei, noi italiani, rispetto ai frutti velenosi che
andavano maturando e che sono poi maturati in Germania? Altro che
estranei. In Italia successe di tutto e di più. Infatti fu proprio
il fascismo, con le sue idee e le sue azioni violente, che anticipò
e ispirò l'avvento del nazismo e dei suoi metodi dittatoriali. I
cattivi esempi li abbiamo cominciati a dare noi. Bisogna dirlo per
evitare che la rimozione dei gravi delitti contro la libertà siano
sepolti nell'oblio della "carità di patria". Nella
infinita lotta tra cultura e censura, cioè tra libertà e barbarie,
la libertà diventa una combattente estremamente debole se non può
nutrirsi delle energie vitali fornite dalla memoria. E non ci devono
essere indulgenze per chi volesse praticare il dimenticatoio
consolatorio. La violenza fascista contro la cultura, ovvero contro
il "culturame", come si usava dire, ci ha lasciato
tracce indelebili. Qualche esempio? Basta farne due. Piero Gobetti,
fondatore e direttore di Rivoluzione Liberale, fu massacrato dai
fascisti per le sue idee sinceramente democratiche e veramente
liberali. Ci ha lasciato pagine indimenticabili che i giovani devono
conoscere se vogliamo evitarci i ritorni di fiamma del fascismo
liberticida e sempre in agguato sotto diverse forme, ma sempre in
agguato.
Ad
Antonio Gramsci, l'autore dei Quaderni del carcere (è l'autore
italiano più tradotto e più studiato nel mondo) fu riservato un
altro "trattamento speciale" dal tribunale speciale
fascista: "Per vent'anni dobbiamo impedire a questo cervello di
funzionare". Sono le parole usate dal pubblico ministero
Michele Isgrò a conclusione della sua requisitoria fatta il il 4
giugno 1928, cioè cinque anni prima del rogo di Berlino. Non c'è
bisogno di commentare le parole di Michele Isgrò, personaggio tipico
di qualsiasi epoca, perché ci sono sempre "nel mercato"
degli intellettuali pronti a fare la loro carriera personale
svolgendo un ruolo ancillare dei regimi dittatoriali. Ma c'è bisogno
di ricordarli sempre, a futura memoria, con nome e cognome,
tutti i Michele Isgrò della storia dell'umanità per significare che
l'operato di esecutori e mandanti dei delitti contro la libertà
deve essere al centro di un culto, o meglio di una specifica etica
della responsabilità. Le parole di questo pubblico ministero
danno il senso e la misura del prologo e dell'epilogo di tutto ciò
che è accaduto, e che non poteva non accadere, per effetto del
dilagare del fascismo e del nazismo.
Queste
considerazioni concernenti i brevi cenni ad episodi significativi
della nostra storia, che è storia recente se si tiene conto che sono
passati solo ottanta anni dal 1933, dimostrano che la malnutrizione
culturale nuoce gravemente alla salute della politica. E nuoce alla
salute, cioè al libero esercizio, dei diritti e dei doveri di ogni
cittadino. D'altra parte, la denutrizione culturale è sempre utile a
qualsiasi regime, specialmente ai regimi autoritari che possono
agevolmente manipolare le coscienze dei sudditi e inibire ogni
possibilità di partecipazione attiva dei cittadini alla cosa
pubblica. Infatti i cittadini subiscono puntualmente un degrado
e diventano sudditi quando vengono indotti a credere nella inutilità
se non nella dannosità della cultura.
I
libri sono i silos in cui sono custodite le idee che, come semi,
possono germogliare e attecchire nella coscienza e
nell'intelligenza degli esseri umani. Dalle idee disseminate nei
libri germoglia il senso critico e lo spirito di libertà, che è lo
spirito creatore presente nell'intelligenza dell'umanità. Ecco
perché la cultura è sempre considerata pericolosa da parte
dei tiranni e dai centri di potere dispotici. Ed ecco perché l'art.
33 della nostra Costituzione solennemente afferma: "L'arte e la
scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento."
Nei
nostri tempi, in cui assistiamo all'avvento dell'era digitale, la
eliminazione dei libri e l'azzeramento della cultura si praticano con
metodi meno cruenti, ma con altri sistemi che possono risultare molto
devastanti per la democrazia. Ecco perché bisogna prestare molta
attenzione agli effetti che producono sulle grandi masse l'uso
della televisione e del web.
Alle
informazioni, che passivamente si ricevono in casa attraverso la
televisione, si sono aggiunte forme di comunicazioni attive
(interattive) realizzabili attraverso internet. L'uso del web può
diffondere e velocizzare la conoscenza e può mettere in relazione
individui e gruppi. Tutto ciò comporta l'ampliamento delle
possibilità di accesso alla conoscenza. Ma il passaggio dalla
semplice conoscenza alla coscienza critica e alla maturazione
culturale della persona umana difficilmente si realizza senza una
istruzione di base effettivamente libera dalle strumentalizzazioni
che alcune forme dispotiche del potere politico tendono a realizzare.
Su due versanti, quelli della televisione e del web, si sono
sviluppati nel nostro Paese tentazioni e posizioni egemoniche che
sono oggetto di studio e di attenzione in tutto il mondo per la loro
capacità di far presa sulle masse. All'estero sanno bene che la
democrazia corre seri pericoli allorché non siano adottate regole
che impediscano sia le concentrazioni monopolistiche degli strumenti
di comunicazione del sapere e sia le concentrazioni nelle stesse mani
del potere comunicativo e del potere politico.
L'Italia
è, in modo ricorrente, un laboratorio politico di cattivi esempi.
Dopo il crollo dei partiti presenti durante la prima Repubblica sono
crollate le identità culturali delle appartenenze alle idee
liberali, socialiste e cristiano-democratiche che, invece, sono
presenti in Europa.
In
Italia ci sono "investitori" di grandi quantità di denaro
per scendere in politica come se una organizzazione politica fosse
un'azienda commerciale e non una fucina di idee e di passione
politica. La partitocrazia è al minimo storico quanto a credibilità.
I partiti, al loro interno, sono diventati o delle monarchie
assolute o delle oligarchie alla ricerca di potere. Si "costruiscono"
carriere politiche basate sulla visibilità nelle televisioni e sulla
fedeltà al capo.
L'art.
49 della Costituzione, che richiede la democraticità dei partiti
politici, è rimasto inattuato. La legge elettorale è di dubbia
costituzionalità e rende visibile la frattura profonda tra eletti ed
elettori. Chi siede in Parlamento manifesta la intenzione di voler
sanare la crisi della credibilità della politica attraverso
improbabili riforme costituzionali. La corruzione è molto diffusa in
tutti gli ambienti politici, sociali ed economi. La stessa
Convenzione di Strasburgo sulla lotta alla corruzione è rimasta per
oltre dieci anni nei cassetti del Parlamento. E sono troppi i
personaggi che trovano, o pensano di trovare, nell'attività
politica, una fonte di guadagno o di sostentamento personale. Nati di
recente, partiti e liste civiche muoiono facilmente e facilmente si
ricompongono perdendo identità, perdendo memoria storica e
rimanendo senza un retroterra culturale che dia motivazione e
forza per reggere le sfide del terzo millennio e della
globalizzazione.
Intanto
c'è una disoccupazione dilagante accompagnata da una crisi economica
senza precedenti e la stessa coesione sociale è in forte pericolo.
La meritocrazia è stata accantonata nel mentre assistiamo, in tutti
gli ambienti, ad una denutrizione culturale che ha dei parametri di
riferimento molto significativi: beni culturali e beni ambientali,
che sono il vero patrimonio del Belpaese, sono depredati o
abbandonati all'incuria; scarsità di biblioteche pubbliche e
costante chiusura delle librerie; scarsa diffusione di internet che
lascia, nel contempo, ampi spazi ad un uso del web non sempre rivolto
ad incrementare i processi cognitivi posti alla base della vera
crescita culturale; scarso interesse dei decisori politici a favorire
forme di educazione permanente e ricorrente; analfabetismo di ritorno
e scarsa capacità, da parte di un'alta percentuale di cittadini
italiani, di comprendere il significato di un testo scritto (ci sono,
in proposito, dati allarmanti); aumento del tasso di abbandono
scolastico; impedimenti all'esercizio del diritto costituzionalmente
garantito ai capaci e meritevoli di raggiungere i gradi più alti
degli studi; famigerati tagli al sistema di istruzione e il
conseguente decadimento dell'impianto educativo italiano che si era
sviluppato moltissimo e in modo significativo dalla caduta del
fascismo fino alla fine del secolo scorso.
Che
fare in Italia se non la rivoluzione culturale?
Roma,
Maggio 2013
Antonio
Pileggi
N.B.
Questo articolo è stato anche pubblicato il 19 maggio 2013 sul
quotidiano on line Rivoluzione Liberale. Ecco il link: